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Usa: retromarcia Trump, il G7 non si farà più nel suo resort

Il presidente statunitense Donald Trump non è soddisfatto delle possibili "location" per il vertice dei G7 in programma il prossimo giugno KEYSTONE/EPA Polaris POOL/CHRIS KLEPONIS / POOL sda-ats

(Keystone-ATS) Il presidente statunitense Donald Trump fa retromarcia sul G7: il summit, in programma il prossimo giugno, non si terrà nel suo lussuoso golf club di Doral, in Florida, a due passi da Miami e non lontano dalla “Casa Bianca d’inverno” di Mar-a-Lago, a West Palm Beach.

Il presidente Usa è stato costretto a cedere alle furiose polemiche e alle accuse dei rivali, che hanno parlato di clamoroso conflitto di interessi e denunciato l’ennesimo caso di abuso di potere. Ma il tycoon si è dovuto piegare anche alle pressioni arrivate dal partito repubblicano, rimasto spiazzato dalla scelta poco ortodossa ed equivoca di tenere il G7 a casa Trump.

Determinante nel convincere la Casa Bianca a tornare sui suoi passi è stata poi la mossa dei democratici alla Camera, già pronti a bloccare i fondi federali destinati all’evento se la scelta del Doral fosse stata confermata.

Così l’annuncio fatto dal capo di gabinetto del presidente, Mick Mulvaney, si è trasformato in un boomerang. The Donald è costretto ora a cambiare i suoi programmi e, probabilmente, a ripiegare sulla residenza presidenziale di Camp David, decisamente molto più istituzionale ma poco amata da Trump, che la considera troppo spartana, tanto da spingerlo a definire misero e triste il G7 lì organizzato nel 2012. Perchè se per Barack Obama la sobrietà e la tranquillità di Camp David – immersa nella natura del Catoctin Mountain Park, in Maryland – favoriva un clima più informale tra i leader, lontani da occhi indiscreti, per Trump non c’è nulla di più lontano dal suo modo di concepire gli eventi.

“Utilizzare il Trump National Doral sarebbe stato qualcosa di bello e a costo zero per il Paese”, ha twittato il presidente: “Il Doral è grande, imponente, centinaia di acri, vicino all’aeroporto internazionale di Miami, con incredibili sale da ballo e per le riunioni, con ogni delegazione che avrebbe avuto la sistemazione che merita”. Insomma, una sorta di spot su Twitter, con tanto di misure sulla superficie delle varie unità immobiliari che sarebbero state a disposizione dei leader e dei loro accompagnatori. Peccato che, ignorando le linee guida consolidate del Dipartimento di stato, il rischio di violare la Costituzione fosse reale, con le norme che vietano al presidente di accettare donazioni o altri fondi da governi stranieri.

La scelta di Camp David però non è ancora ufficializzata. Lo stesso Trump scrive che si sta ancora valutando. Nella short list ci sarebbero anche le Hawaii e lo Utah. A pagare le conseguenze di tutto ciò potrebbe essere Mulvaney, protagonista di un briefing con la stampa, il primo on the record da settimane, a dir poco catastrofico. Lo stesso in cui contraddicendo Trump ha ammesso che gli aiuti all’Ucraina erano davvero legati alle pressioni sul governo di Kiev. Salvo poi una improbabile smentita. Il suo posto è ormai più che a rischio.

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