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Vertice Ue in bilico, i frugali non cedono sugli aiuti

I leader dei paesi frugali non mollano: riunione tra l'olandese Mark Rutte, l'austriaco Sebastian Kurz, la finlandese Sanna Marin, lo svedese Stefan Lofven e la danese Mette Frederiksen (da sinistra) oggi a margine del vertice europeo a Bruxelles. Keystone/EPA AFP POOL/FRANCOIS WALSCHAERTS / POOL sda-ats

(Keystone-ATS) Cala la sera su Bruxelles e del vertice europeo dei record, arrivato al suo terzo giorno di frenetiche trattative, non si vede la fine. Tutto resta appeso ad un grande punto interrogativo, come il destino dell’Unione europea.

Nel piatto, alla cena dei leader convocata dopo una giornata di incontri a geometria variabile, viene servito un Recovery Fund con una dotazione molto assottigliata di sussidi: dai 500 miliardi della proposta iniziale presentata dal presidente del Consiglio europeo Charles Michel a 350, ultima offerta “prendere o lasciare” dei paesi frugali (Olanda, Svezia, Danimarca, Austria) a cui si è aggiunta anche la Finlandia. Una sforbiciata di 150 miliardi nonostante il pressing pesante dei mediatori, Angela Merkel ed Emmanuel Macron in primis, determinati a bloccare l’asticella dei tagli a 400 miliardi.

Un boccone troppo amaro da mandare giù per i Mediterranei in generale e per il premier italiano Giuseppe Conte in particolare, chiamato anche a dire sì alla possibilità di un meccanismo di controllo degli Stati sugli esborsi in base all’attuazione dei piani nazionali di riforma. Un punto su cui in giornata le delegazioni italiana e olandese hanno negoziato testa a testa, assieme agli esperti del servizio legale della Commissione europea, per trovare una soluzione.

Di fronte alla prospettiva di mettere in comune il debito per salvare il salvabile del progetto europeo però Mark Rutte non demorde, guardato a vista dal suo Parlamento (dove non ha la maggioranza), che sull’accordo si dovrà esprimere.

La girandola di incontri che ha tenuto banco per tutta la domenica, in tutti i formati possibili – compreso quello dei Mediterranei (Italia, Grecia, Spagna e Portogallo) ed i Frugali più la Finlandia – ha avvicinato le posizioni, ma non ancora abbastanza. E la posta da 500 miliardi di euro è andata man mano calando, in una guerra di cifre al ribasso: prima 450 miliardi, poi 420, poi ancora 375, una cifra sempre troppo alta per i nordici, ora pronti a chiudere con 350 miliardi di sovvenzioni e altrettanti di prestiti.

Posto sempre che tutti gli altri tasselli, compresa la governance e la condizionalità sullo stato di diritto, vadano nella direzione da loro auspicata.

Già, perché anche le altre partite nella partita restano aperte. Da un lato il match Rutte-Conte sul veto: insindacabile per il primo, inaccettabile per il secondo. Dall’altro la battaglia tra l’olandese e l’ungherese Viktor Orban su un meccanismo che apre e chiude i rubinetti degli aiuti in base al rispetto dello Stato di diritto: una condizione irrinunciabile per Rutte, impraticabile per il leader magiaro.

Tra veti incrociati e resistenze, la ripresa dei lavori in plenaria, originariamente prevista con la colazione di lavoro a mezzogiorno con una nuova proposta di Michel, è slittata di ore, fino alla cena delle 19.20, quando finalmente i 27 si sono seduti di nuovo attorno allo stesso tavolo al quinto piano dell’Europa Building per guardarsi negli occhi e decidere se proseguire ad oltranza con la trattativa nella notte oppure darsi un nuovo appuntamento tra una settimana, con il rischio di veder infuriare le speculazioni dei mercati contro i paesi economicamente più deboli.

Un’opzione rigettata da più parti, dal portoghese Antonio Costa (“un no deal sarebbe un brutto segnale per l’Europa”) allo sloveno Janez Jansa, all’ungherese Orban, che ha fatto sapere di aver prenotato l’hotel a Bruxelles per una settimana. “È arrivata l’ora dell’accordo”, twitta la belga Sophie Wilmes. “Ma non sarà ad ogni costo”, chiosa Macron.

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