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UE e lavoro, sindacati svizzeri in allarme

Il mercato del lavoro svizzero si apre ai cittadini dell'Unione europea Keystone

Dal primo giugno i cittadini europei avranno libero accesso al mercato del lavoro svizzero. Un evento che suscita nei sindacati nuovi timori di dumping salariale.

Una clausola speciale degli accordi tra Svizzera e Unione europea aveva fin qui parzialmente chiuso le porte ai lavoratori europei.

Grazie agli accordi bilaterali per la libera circolazione dei lavoratori, già da due anni i cittadini svizzeri possono lavorare nella maggior parte dei paesi europei. Berna, temendo un afflusso massiccio di forza lavoro a basso costo, aveva ottenuto invece una proroga nel corso dei negoziati.

Per rispettare l’accordo, entrato in vigore nel giugno 2002, la Confederazione deve ora aprire il suo mercato del lavoro ai cittadini dell’Unione Europea. Questa seconda fase della transizione è entrata in vigore martedì. I cittadini svizzeri perdono così la priorità avuta finora nel mercato del lavoro nazionale.

L’accordo si applica ai quindici stati membri “anziani” dell’Unione. Mentre i cittadini dei dieci nuovi membri – entrati nell’UE lo scorso primo maggio – dovranno attendere ancora parecchi anni prima di avere il diritto di accedere al mercato elvetico del lavoro.

“L’unica limitazione che resta ai lavoratori dei primi 15 paesi che hanno aderito alla UE è la quota massima di 15’000 permessi di soggiorno a lungo termine ogni anno. Fermo restando che devono avere un impiego”, spiega a swissinfo Dieter Grossen, direttore supplente dell’Ufficio federale dell’immigrazione (IMES).

Scadenze

Alcuni paesi europei, come la Germania e la Gran Bretagna, già nel 2002 hanno esteso ai cittadini elvetici il diritto di lavorare liberamente nel loro paese, anticipando così di due anni la scadenza fissata negli accordi. Ora toccherà al resto del nucleo originario dell’Unione.

In Svizzera, i sindacati continuano ad essere in allarme per l’alleggerimento delle restrizioni, per il timore che possa portare ad una pressione sui salari, soprattuto nelle regioni di confine. E ammoniscono che non tutti i cantoni né tutte le imprese sono davvero pronti a fare i conti con un possibile afflusso massiccio di lavoratori.

Il Parlamento ha varato misure per contenere il dumping salariale e per prevenire l’indebolimento della protezione dei lavoratori. Le misure includono regole sulle condizioni di lavoro per le aziende che hanno sede all’estero e inviano propri impiegati nella Confederazione per un tempo limitato: dovranno rispettare un salario ed orario di lavoro minimi, di concerto con i cantoni o rifacendosi ai contratti collettivi (CCL).

La supervisione sarà assunta da commissioni tripartite (una per ogni cantone), nelle quali siederanno rappresentanti del governo, dei lavoratori e dei datori di lavoro.

Protezione

Ma secondo i sindacati, queste misure non saranno in grado di garantire ai lavoratori un’adeguata protezione: “La Svizzera è impreparata all’apertura del suo mercato del lavoro: non ha un salario minimo, né sono molti i contratti collettivi”, spiega Serge Gaillard dell’Unione sindacale svizzera (USS). La situazione, aggiunge, sarebbe particolarmente delicata nei settori della vendita al dettaglio, dell’agricoltura e dei trasporti.

Il governo non condivide le preoccupazioni dei sindacati: “Già da un anno i cantoni hanno a disposizione la legislazione necessaria per organizzarsi. E sappiamo che tutti si sono dotati di commissioni tripartite. Sono certo”, assicura a swissinfo Dieter Grossen, “che funzioneranno bene già dal primo giugno”.

L’allarme sul rischio di dumping e sull’arrivo di lavoratori stranieri è stato alla ribalta del dibattito politico fin dall’entrata in vigore dell’accordo, nel 2002. Paure che finora si sono rivelate infondate.

Applicazione

Secondo l’Unione Sindacale Svizzera, le misure adottate potrebbero in effetti essere adeguate. Ma il problema risiede nella loro applicazione.

“I cantoni di frontiera, come Ginevra o il Ticino, sono pronti ad affrontare le novità. Ma in generale, i cantoni hanno reagito lentamente e ci siamo resi conto che in molti casi le misure non potranno funzionare a pieno regime: i sindacati dovranno darsi da fare”, spiega a swissinfo la segretaria dell’USS Regula Rytz.

La sindacalista sostiene che molti cantoni non hanno trovato i soldi necessari a mettere in pratica le misure previste dal Parlamento e che il Governo federale non ha gestito la situazione con autorevolezza.

“Il punto è che abbiamo ottimi strumenti per fermare il dumping salariale, per i lavoratori svizzeri e per quelli stranieri. Ma se questi strumenti non vengono adeguatamente controllati, non funzioneranno. Il successo delle commissioni dipenderà da quanti soldi riceveranno per tenere gli occhi aperti sul mercato del lavoro”, conclude.

L’USS chiede che almeno cento ispettori in più siano messi in campo per assicurare l’applicazione delle misure decise dal Parlamento.

swissinfo, Isobel Leybold
Traduzione dall’inglese: Serena Tinari

L’accordo entrato in vigore nel 2002 diminuisce le restrizioni per i cittadini europei che vogliano lavorare in Svizzera e viceversa.

Finora, non si sono concretizzate le paure di dumping salariale e di un afflusso massiccio di lavoratori stranieri.

Fino al 2007, la Confederazione applicherà ai cittadini europei la quota limite di 15’000 permessi di soggiorno a lungo termine ogni anno. Non ci sono restrizioni, invece, per i cittadini elvetici che vogliano lavorare nell’UE.

Per i nuovi dieci membri dell’Unione, l’accordo sulla libera circolazione delle persone non entrerà in vigore prima del 2005 e potrebbe ancora essere sottoposto a votazione.

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