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Ultimo orizzonte per Alitalia con le ali spezzate

Aeroporto internazionale di Fiumicino, 18 settembre: i dipendenti d'Alitalia esultano dopo il ritiro dell'offerta del gruppo d'imprenditori italiani. Alitalia è a un passo dal fallimento. Keystone

Alitalia cerca di evitare il fallimento. Entro giovedì il commissario straordinario di Alitalia, Augusto Fantozzi, deve presentare un piano per evitare la sospensione o la revoca della licenza di volo. Fra i lavoratori regnano amarezza e preoccupazione. Reportage di swissinfo.

All’aeroporto di Roma-Fiumicino continuano a regnare malumore e preoccupazione. “Privilegiati? Forse un tempo, ma oggi, con 25 anni di servizio, ho un salario inferiore di circa il 30% a un mio collega di Air France o di Lufthansa. Ora vengono a propormi un piano che lo decurta di un altro 20%, all’interno di un piano industriale che creerebbe una compagnia troppo piccola per competere e poter sopravvivere”.

Parole di un pilota Alitalia. Ne passano in continuazione, insieme a hostess e personale di terra, davanti al presidio di varie organizzazioni sindacali sul marciapiede degli arrivi internazionali di Fiumicino. Sui muri hanno incollato slogan altrettanto eloquenti: “Nazionalizzateci”, “Me ne frego dell’italianità, vive la France”, “Meglio falliti che con questi banditi”.

Cosi Alitalia è a un passo dal fallimento, e il paese sull’orlo di un baratro sociale, perché gli impiegati della moribonda compagnia sono 19 mila, ma, secondo il governatore della Regione Lazio, “nella nostra regione ce ne sono altri 10 mila a rischio licenziamento, quelli che campano dell’indotto aeroportuale”.

La storia tutta dentro un terminal

Sembra il terminal di una lunga storia fatta dalla somma di pervicaci irresponsabilità: una politica (destra e sinistra incluse) che per decenni ha nutrito la compagnia con massicce dosi di aiuti pubblici. Si calcola che da almeno un ventennio ogni italiano ha pagato 100 franchi all’anno per tenere in vita la compagnia di bandiera.

Anche il management – che è stato incapace di guardare alle sfide di un mercato in velocissima trasformazione e i sindacati governati dal corporativismo – portano sulle spalle il peso delle responsabilità. Soprattutto il sindacato dei piloti, il cui orientamento politico non è certo di sinistra, come invece vuol far credere il premier Silvio Berlusconi.

Un premier “salvatore della patria”, ancora premiato dai sondaggi, e che ha messo in campo il suo prestigio personale. Pur di riuscire, ha scavalcato le tanto decantate regole di mercato. Ha modificato la legge sulla concorrenza; ha deciso la creazione di una “bad-company” su cui far confluire debiti ed “esuberi”. Così si chiamano in Italia i lavoratori di troppo che sono costretti ad andare in disoccupazione.

Ha dunque accettato che debiti ed “esuberi” venissero pagati dai contribuenti (almeno un miliardo di euro) e ha consegnato ai 18 imprenditori della cordata la “polpa” di Alitalia: una nuova compagnia “ripulita” e con un monopolio quasi integrale sul traffico nazionale. Una prospettiva che è poco rassicurante per il cittadino-viaggiatore.

Air France? Un’occasione persa

Certo, la “cordata” di suo ci mette un miliardo di euro, e si assume la sua dose di rischio. Ma molti giornali italiani, non necessariamente vicini all’area dell’opposizione, segnalano come gli stessi “capitani coraggiosi” della neonata CAI (Compagnia Aerea Italiana) siano saldamente in “pole position” per ottenere dallo Stato appetitosi mega-appalti: dallo stretto di Messina, all’area riedificabile di Linate, fino alle tariffe autostradali.

Per diversi commentatori è questa la “malattia genetica” dell’intero progetto. “A dimostrazione del fatto – dice a swissinfo Gianni Dragoni, l’esperto di trasporto aereo del “Sole 24 Ore” (giornale della Confindustria, il padronato italiano) – che “aver rifiutato la precedente offerta di Ar France è stata un grande occasione persa”.

Quel piano, infatti, era meno oneroso socialmente, meno costoso per lo Stato, e più vantaggioso per i clienti”. Un’offerta francese che venne respinta dai sindacati e bocciata dallo stesso Berlusconi in piena campagna elettorale e in nome dell’ “italianità”. Sarà tutto semplice, disse il Cavaliere. I fatti dicono il contrario.

Nemmeno si riesce a capire quanti sarebbero con precisione gli “esuberi”. Per il governo non più di 3.500, per i sindacati più di 5.000. Insieme al taglio netto dei salari, una prospettiva che ha alimentato l’opposizione dei cinque sindacati di categoria (piloti, steward e personale di terra), fino al ritiro della proposta d’acquisto da parte di CAI.

“Grounding” anche per Alitalia?

Mentre nel mondo politico si pratica lo sport preferito (lo scaricabarile delle responsabilità), dietro le quinte si sta cercando una residua possibilità di via d’uscita.

Il sindacato di sinistra CGIL, che aveva accettato il piano industriale ma chiedeva un negoziato che facesse rientrare il dissenso degli autonomi, sostiene la possibilità di aprire ad altri offerenti. Ma le ore sono contate.

A Fiumicino voli regolari, e tutti gli impiegati Alitalia sono regolarmente al lavoro: “Vogliamo dare un messaggio positivo”. Ma è difficile che possa bastare per evitare che tra pochi giorni gli aerei rimangano inchiodati a terra con i serbatoi vuoti.

Uno scenario da “grounding” che dalle nostre parti è ancora vivo nella memoria di tutti: in fondo sono trascorsi solo sette anni da quanto i velivoli Swissair rimasero bloccati a terra.

swissinfo, Aldo Sofia, Roma-Fiumicino

Sul sito internet della compagnia, il commissario straordinario Augusto Fantozzi ha pubblicato lunedì un bando di vendita per salvare Alitalia dal fallimento.

L’annuncio è stato accolto positivamente anche dal sindacato CGIL, che giovedì aveva respinto l’offerta della CAI (Compagnia aerea italiana), ovvero la cordata di 18 imprenditori italiani guidata da Roberto Colaninno e il piano industriale redatto da Banca Intesa.

Lunedì si è fatta avanti anche una società con sede a Lugano-Paradiso, l’Ama Asset Management Advisor.

L’Ama, società anonima con un capitale di 100’000 franchi attiva nella consulenza nel settore aeronautico e navale, ha manifestato interesse per il noleggio di almeno 30 aerei MD 82 e ATR 72.

La società vorrebbe utilizzare la flotta su 11 rotte, principalmente nei Balcani e nell’Europa dell’Est, attualmente operate da Alitalia dagli scali di Malpensa e Fiumicino.

La compagnia tedesca Lufthansa è in pista per Alitalia, ma per ora non si sbilancia. “Stiamo osservando gli sviluppi della situazione in Italia. Il mercato italiano è ovviamente uno dei più interessanti, ma non rilasciamo commenti sugli ultimi sviluppi”.

Oggi la compagnia tedesca, con 92 mila dipendenti e una flotta di 343 aerei di cui 87 a lungo e 164 a medio raggio, è il terzo vettore europeo dopo Air France-Klm e British Airways-Iberia. Mettendo le ali sul mercato italiano, farebbe un salto in alto, completando la sua strategia di vettore “multi-hub” e “multi-brand”.

Per Swiss, Lufhtansa aveva pagato in tutto 339 milioni di franchi. Non è molto, se si considera che la sola Confederazione tra il 2001 e il 2002 aveva versato 1,7 miliardi di franchi per l’ex Swissair e per la nuova Swiss.

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