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Un miliardo per l’est

Nonostante una crescita economica sostenuta, i nuovi paesi UE nell'Europa dell'est hanno un livello di sviluppo inferiore ai paesi occidentali Keystone

Un miliardo di franchi per sostenere lo sviluppo nei paesi dell'Europa dell'est entrati nell'Unione europea (UE) nel 2004. È il primo argomento in votazione il 26 novembre.

La proposta è combattuta da un referendum lanciato dalla destra nazional-conservatrice, tradizionalmente euroscettica e che teme un precedente pericoloso per la Svizzera.

Nel 2004 l’allargamento a est dell’Unione europea ha esteso la validità degli accordi bilaterali tra Berna e Bruxelles anche ai dieci nuovi paesi dell’UE. La Svizzera ha così ottenuto un accesso privilegiato ai mercati di paesi in fase di espansione economica.

Come contropartita, l’UE ha chiesto alla Svizzera – durante i negoziati sul secondo pacchetto di accordi bilaterali – di contribuire alla riduzione delle disparità economiche e sociali tra vecchi e nuovi paesi dell’Unione. La stessa richiesta è stata rivolta anche ai paesi dello Spazio economico europeo che non fanno parte dell’UE: Norvegia, Islanda e Liechtenstein.

Aiuto autonomo

Inizialmente la Svizzera si è dimostrata piuttosto scettica a riguardo, ricordando di aver già contribuito fin dal 1990 alla transizione alla democrazia e all’economia di mercato dei paesi ex-comunisti dell’Europa orientale e dell’Asia centrale. Nel corso degli ultimi 17 anni, la Confederazione ha stanziato circa 3,4 miliardi di franchi per l’aiuto a questi paesi. Di questi, circa 700 milioni sono andati ai paesi che fanno ora parte dell’UE.

Tuttavia, nel corso delle trattative sui bilaterali, il governo elvetico ha riconosciuto la legittimità della richiesta europea e si è impegnata a versare un miliardo di franchi per favorire lo sviluppo dei nuovi paesi dell’UE.

Il denaro non andrà però ad alimentare direttamente il cosiddetto «fondo di coesione» dell’UE. La Svizzera ha chiesto e ottenuto di trattare in via bilaterale con ogni stato beneficiario le modalità degli aiuti e di scegliere autonomamente i progetti da sostenere. Solo le linee generali del contributo svizzero sono state negoziate con l’UE e fissate in un memorandum d’intesa, non vincolante dal punto di vista del diritto internazionale.

Nuova base legale

Fra i maggiori beneficiari del sostegno elvetico vi sarebbero la Polonia, a cui sono destinati circa 490 milioni di franchi, l’Ungheria (130 milioni) e la Repubblica ceca (110 milioni). I progetti che il governo intende finanziare riguardano ambiti come la sicurezza, la riforma amministrativa, le infrastrutture, l’ambiente, le piccole e medie imprese, la ricerca e la sanità. Sebbene il periodo di impegno svizzero sia fissato a 5 anni, la diversa durata dei progetti farà sì che in realtà il miliardo di franchi previsto sia speso sull’arco di 10 anni.

Dal punto di vista giuridico, il contributo svizzero si basa sulla Legge federale sulla cooperazione con gli stati dell’Europa dell’est, approvata dal Consiglio nazionale con 127 voti contro 53 e dal Consiglio degli Stati con 37 voti contro uno.

La legge persegue due scopi. Il primo è di rinnovare la base legale per l’aiuto allo sviluppo dei paesi ex-comunisti, regolato da un decreto federale del 1995. Questo permetterebbe di proseguire la politica di sostegno ai paesi dell’area balcanica e dell’ex-Unione sovietica. Secondo il governo, i fondi destinati a questo scopo dovrebbero aggirarsi attorno ai 140-160 milioni l’anno.

Ripartizione del finanziamento

Nello stesso tempo, la legge regola appunto il contributo all’allargamento dell’UE. Se il popolo la approverà il 26 novembre, il parlamento sarà chiamato a stanziare due crediti quadro separati, uno per continuare l’aiuto alla transizione, l’altro per il contributo ai nuovi Stati dell’UE.

Il governo vorrebbe che quest’ultimo credito fosse finanziato al 60% dai dipartimenti federali dell’economia e degli affari esteri, attraverso risparmi in altri settori, e al 40% con denaro delle casse federali, in particolare con i proventi derivati dalla tassazione dei risparmi di cittadini europei.

La maggioranza dei partiti di governo – radicali, popolari democratici e socialisti – opta però per una ripartizione 50-50, al fine di evitare che il sostegno ai nuovi paesi dell’UE vada a scapito dell’aiuto allo sviluppo in altri paesi. Tutti sono d’accordo sul fatto che il miliardo destinato all’Europa dell’est non debba comportare costi supplementari per i contribuenti svizzeri.

Porta aperta

Contro la legge è stato lanciato con successo il referendum, sostenuto dall’Unione democratica di centro e da altri partiti e organizzazioni della destra. A loro avviso, il contributo miliardario aprirebbe la porta ad altre richieste da parte dell’UE. Inoltre risulterebbe inutile, perché i paesi dell’est sarebbero già i maggiori beneficiari dell’allargamento.

Il governo ricorda dal canto suo che il memorandum d’intesa con l’UE non rappresenta in alcun modo un precedente e che eventuali contributi ai prossimi paesi che entreranno nelll’Unione (si pensa in particolare a Bulgaria e Romania) dovranno essere oggetto di nuovi negoziati. E in ogni caso un nuovo credito dovrebbe essere approvato dal parlamento.

Il contributo ai nuovi paesi dell’UE gode del sostegno di un’ampia coalizione, che comprende – oltre a radicali, popolari e socialisti – i verdi, il partito evangelico e il partito liberale.

swissinfo, Andrea Tognina

All’inizio delle discussioni sul «miliardo di coesione», molte organizzazioni umanitarie avevano espresso il timore che il contributo ai nuovi paesi dell’UE andasse a scapito dell’aiuto ai paesi in via di sviluppo.

Il progetto di finanziamento presentato dal governo tiene conto, almeno parzialmente, di questi timori. 400 milioni dovrebbero provenire dalle casse della Confederazione, e in particolare dai ricavi della tassazione dei risparmi di cittadini europei in Svizzera.

Altri 600 milioni dovrebbero essere compensati dal Dipartimento degli affari esteri (DFAE) e dal Dipartimento dell’economia (DFE). Tra i tagli previsti dal governo per compensare il miliardo di coesione vi è quello degli aiuti a Russia, Romania e Bulgaria.

Questi tre paesi non rientrano nella categoria dei paesi in via di sviluppo definita dall’OCSE. Tuttavia, anche con la loro esclusione dagli aiuti elvetici, 45-50 milioni l’anno destinati ai nuovi paesi UE sarebbero sottratti ai paesi in via di sviluppo. Per questo il parlamento preferirebbe far compensare solo 500 milioni al DFAE e al DFE.

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