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Una protesta che va al di là del pacifismo

Il 15 febbraio migliaia di persone protestavano a Berna contro la guerra Keystone

Prima ancora che venga sferrata l'offensiva contro l'Iraq, migliaia di persone in Svizzera e milioni in tutto il mondo continuano a manifestare contro la guerra.

Un fenomeno che secondo molti sociologi è qualcosa di più di una semplice forma di pacifismo.

“La gente si rende conto che sta succedendo qualcosa di grave”, dichiara a swissinfo il sociologo di Losanna René Levy.

Un’opinione condivisa da Fabrizio Sabelli. “Assistiamo a una globalizzazione dell’opposizione a questa guerra annunciata”, aggiunge l’antropologo ginevrino.

“Questo fenomeno”, continua Sabelli, “dimostra che la storia avanza in modo sempre più unificato sul pianeta, non solo tramite i mercati; anche attraverso la percezione e i sentimenti della gente nei confronti della storia attuale”.

Il sociologo Ueli Windisch, di Ginevra, sottolinea invece un altro aspetto: “Il fatto rallegrante di tutte queste manifestazioni è che contraddicono l’immagine di un’opinione pubblica individualista, assenteista e disincantata dalle immagini di orrore, viste alla televisione”.

Ci si può però chiedere quali siano le motivazioni del rifiuto di questa operazione militare e il perché di tante manifestazioni.

Una mobilitazione selettiva

“Tutti sono contro la guerra”, dichiara a swissinfo Ueli Windisch. “I cittadini si mobilitano in massa per una causa nobile. Ma perché non c’è stata una mobilitazione di questo tipo dopo gli attentati dell’11 settembre?”

“Una parte delle persone esprime la propria ostilità nei confronti di uno Stato considerato la prima potenza del pianeta, che dà l’impressione di abusare della propria forza”, risponde l’etnologo Pierre Centlivres.

Secondo Ueli Windisch queste persone sono semplicemente anti-americane.

“Gli Stati Uniti sono i soli ad essere in grado di sbarazzarci dagli ultimi tiranni del pianeta. Tuttavia, alcuni media e certi intellettuali non cessano di ridicolizzare il loro presidente, George Bush”, afferma il sociologo ginevrino.

“E’ quasi vietato pensare che il presidente americano voglia questa guerra in nome dei valori fondamentali che l’Europa condivide pur sempre con gli Stati Uniti”, dice Windisch.

Una propaganda che non convince

Secondo René Levy queste manifestazioni e i sondaggi effettuati in numerosi Paesi, dimostrano che gli argomenti in favore dell’operazione militare non sono in effetti riusciti a convincere molte persone.

“La gente viene incoraggiata a manifestare anche a causa delle reticenze espresse da molti governi”, prosegue René Levy.

Il sociologo losannese rileva che il braccio di ferro diplomatico in seno al Consiglio di sicurezza dell’ONU costituisce la prima grande crisi fra gli Stati Uniti e l’Unione europea. E questo dalla caduta della cortina di ferro.

L’Unione europea si è comunque ritrovata divisa sul tema. Una situazione che non stupisce Fabrizio Sabelli.

“I governi che attualmente sostengono l’opzione militare sono di natura più o meno populista: Stati Uniti, Italia, Spagna e in misura minore, Gran Bretagna” dichiara l’antropologo.

“Ma il loro modo di governare, basato sui sondaggi popolari, questa volta si scontra con i desideri della popolazione”, spiega Sabelli.

No alla menzogna

L’antropologo ginevrino ritiene pertanto che le manifestazioni e i sondaggi ostili alla guerra siano anche un messaggio politico che delegittima i governi populisti.

“Si tratta”, afferma Sabelli, “di una protesta contro la mancanza di trasparenza legata a questa crisi. La maggior parte delle persone si oppone a un conflitto giudicato sproporzionato nei confronti della minaccia costituita dal regime di Saddam Hussein”.

“Ma queste persone protestano anche contro i governi non trasparenti. Sono manifestazioni anti-menzogna”, dichiara Fabrizio Sabelli.

Ueli Windisch, dal canto suo, ricorda che fu l’America di Ronald Reagan – un altro presidente disprezzato – a contribuire a porre fine all’impero sovietico.

Ma il sociologo ginevrino aggiunge anche: “La storia è spesso fatta di paradossi”.

swissinfo, Frédéric Burnand, Ginevra
(traduzione: Elena Altenburger)

Stati Uniti, Spagna, Italia, Gran Bretagna: governi favorevoli alla guerra
40’000 dimostranti pacifisti a Berna alla manifestazione del 15 febbraio
Un milione a Roma
500’000 a Berlino
900’000 a Londra

La possibile guerra contro l’Iraq ha suscitato un movimento di protesta mondiale, di rara intensità. Anche in Svizzera i pacifisti sono attivi.

Molti cittadini per la prima volta si sono chiaramente distanziati dai loro governi. E’ il caso di Italia, Spagna, Gran Bretagna.

Gli esperti si interrogano su questo nuovo fenomeno sociale, che accomuna persone e Paesi diversi e che ha provocato una delle più grandi spaccature fra Stati Uniti e Unione europea.

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