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Una Svizzera attenta alle minoranze

Secondo la ministra degli esteri, la Svizzera è un esempio di società in cui le differenze culturali non provocano tensioni Keystone

A sud delle Alpi per partecipare al Festival di Locarno, la consigliera federale Micheline Calmy-Rey ritiene che la Svizzera debba essere fiera del proprio modello di convivenza tra culture diverse.

Occorre tuttavia prestare attenzione perché i delicati equilibri interni non vengano stravolti. Intervista con swissinfo.

swissinfo: Signora consigliera federale, la sua funzione politica la spinge a seguire con attenzione gli avvenimenti sulla scena internazionale, compresi quelli che toccano i diritti umani e le minoranze. Ma qual è il suo sguardo sulla Svizzera d’oggi, sul modo di preoccuparsi delle sue minoranze, come quella a Sud delle Alpi?

Micheline Calmy-Rey: Per cominciare: in Svizzera non trovo nulla di preoccupante, come può essere invece la sorte delle minoranze in diversi angoli del mondo.

Abbiamo tutte le ragioni di essere fieri del nostro modello storico di cooperazione tra comunità di culture diverse. Il federalismo garantisce la vitalità dell’espressione politica e culturale delle regioni, specialmente quando i tratti “minoritari” si sommano.

Il Ticino, che non comprende tutta la Svizzera italofona, è una forza politica che fa valere il suo punto di vista e difende i propri interessi attraverso i suoi rappresentanti alle Camere federali. Come ginevrina, del resto, non ho mai avuto l’impressione di appartenere ad una popolazione dominata.

I gruppi maggioritari non sono tuttavia al riparo dalle tentazioni di imporsi; devono pertanto essere consapevoli della loro responsabilità nella preservazione del nostro modello politico. È dunque importante continuare a preoccuparsi delle minoranze.

L’ammirazione dell’estero e la sorte delle comunità che lottano nel mondo per fare sentire la loro voce, costituiscono per noi degli stimoli supplementari.

swissinfo: A Locarno siamo a due passi dall’Italia, paese con il quale Berna non ha sempre avuto delle relazioni facili, penso per esempio ai problemi di traffico ed alle rogatorie. Problemi di incomprensione? Come vede il futuro?

Calmy-Rey: Una parte delle relazioni estere della Svizzera è dominata da rapporti di vicinato che, in fondo, costituiscono la sostanza dei nostri legami con l’Unione europea (UE).

È abbastanza normale, dunque, che le relazioni di vicinato implichino dei processi di adattamento e con essi inevitabili frizioni. Il grado di reciproca comprensione con l’Italia – paese con cui condividiamo una lingua e con il quale abbiamo delle profonde e secolari relazioni economiche, sociali e culturali – è alto.

Il proseguimento dell’integrazione della Svizzera in Europa – con la concretizzazione dei “bilaterali 1”, con la ratifica e lo sviluppo dei “bilaterali 2” e con l’allargamento della libera circolazione delle persone ai nuovi membri dell’UE – avvicinerà ancor più Svizzera e l’Italia.

Questo processo, è vero, può essere difficile, ma è inevitabile. Per il Ticino e per tutta la Svizzera, la vicinanza del Piemonte e della Lombardia – una regione il cui prodotto interno sorpassa quello di certi Stati membri dell’UE – conta enormemente.

È dunque importante che la cooperazione transfrontaliera funzioni meglio. Con l’evoluzione della ripartizione delle competenze tra l’UE e i suoi Stati membri, gli accordi con l’UE offrono un’irrinunciabile opportunità allo sviluppo e allo slancio delle istituzioni transfrontaliere.

swissinfo: Le misure d’austerità finanziarie del Consiglio federale colpiscono le zone periferiche della Svizzera. Possono, secondo lei, mettere in pericolo la coesione nazionale, spesso sotto pressione?

Calmy-Rey: Le attuali misure di austerità sono molto pesanti. Ne percepisco il rigore per quanto concerne il Dipartimento degli affari esteri.

Occorre perciò prestare attenzione – sia sul piano delle relazioni internazionali, sia delle zone periferiche, sia della politica sociale – affinché le restrizioni finanziarie non compromettano la continuità, e quindi l’efficacia, delle scelte politiche pianificate a lungo termine.

I tagli sopraggiunti nel settore dei trasporti, per esempio, penalizzeranno le regioni periferiche. Altre misure di risparmio, come l’abbandono della legge sulle lingue, possono anch’esse seminare dei dubbi.

La dimostrata simmetria dei sacrifici in tutto il Paese dovrebbe però evitare che gli abitanti di certe parti della Svizzera si sentano discriminati.

swissinfo: Secondo lei in un contesto internazionale molto instabile, il sentimento di insicurezza può cambiare i rapporti interni di un paese? Ad esempio quelli tra cantoni o tra cantoni e Confederazione?

Calmy-Rey: Credo che in una società umana il sentimento di insicurezza sia sempre presente. La sua assenza corrisponde ad una fase di euforia che può spingere una società ad attese irrealiste e ad un troppo grande distacco e disimpegno dallo Stato.

In democrazia, tuttavia, il sentimento d’insicurezza – qualunque sia la sua relazione con la realtà – non deve superare una certa soglia, pena le derive contrarie alle libertà.

Focalizzare l’attenzione su determinati pericoli può inoltre essere una forma di manipolazione politica. E ciò può contribuire a cambiare gli equilibri.

In Svizzera, per esempio, dobbiamo prestare attenzione a non trasformare la questione dell’asilo in uno spauracchio.

Per quanto concerne i rapporti tra Cantoni e Confederazione credo che la storia abbia piuttosto dimostrato che le minacce alla sicurezza del Paese siano servite da collante.

swissinfo: L’esperienza della Svizzera, luogo di differenze culturali e di giochi d’equilibrio, può in qualche modo essere d’aiuto nei processi di pace e nella soluzione di conflitti a livello mondiale?

Calmy-Rey: La nostra esperienza vale per come la usiamo. Possiamo, è lo si fa di frequente, proporre la partecipazione di esperti svizzeri nel contesto di processi costituzionali o, per esempio, nella preparazione di elezioni nelle società multietniche reduci da conflitti.

La Svizzera e i suoi rappresentanti sono inoltre dei partner apprezzati nell’organizzazione di conferenze internazionali o nella conduzione di negoziati volti alla prevenzione o alla soluzione di conflitti.

Perché la Svizzera è un esempio di società in cui le differenze culturali non provocano tensioni.

Ma è soprattutto il nostro bagaglio storico, caratterizzato dal non ricorso alla guerra e dalla protezione dei diritti umani, a renderci credibili quando affrontiamo questi argomenti con i paesi in cui i problemi esistono ancora.

La nostra esperienza è alla base di una politica estera attiva e impegnata in favore della pace e dei diritti umani.

Intervista a cura di swissinfo, Françoise Gehring

Micheline Calmy-Rey è la responsabile del Dipartimento federale degli affari esteri.

La ginevrina, membro del partito socialista, è nata l’8 luglio 1945 ed è stata eletta nel governo federale il 4 dicembre 2002.

Dal 10 dicembre 2003, data della non rielezione in governo della democristiana Ruth Metzler, la Calmy-Rey è rimasta la sola donna nell’esecutivo federale.

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