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Una tassa per chi si vuole suicidare

Il Pentobarbital è il medicamento a cui fanno ricorso le organizzazioni di aiuto al suicidio Keystone

Il parlamento zurighese ha approvato una mozione che chiede di introdurre una tassa a carico degli stranieri che vengono a Zurigo per fruire dell’assistenza al suicidio. Una proposta che a detta di molti è però in contrasto con il diritto federale.

A prima vista, la proposta, formulata da un deputato dell’Unione democratica di centro (UDC, il partito di Christoph Blocher), avrebbe lo scopo di scoraggiare il cosiddetto “turismo della morte”.

Quest’ultimo è un fenomeno, in atto ormai da anni, per cui molti malati gravi vengono da tutto il mondo a morire in Svizzera, dove sanno di poter ottenere a pagamento una “dignitosa” assistenza per porre fine alla loro vita. In base a dati ufficiali, in Svizzera i suicidi assistiti di stranieri sono cresciuti dai 91 (su un totale di 272) contati nel 2003, ai 132 (su circa 400) praticati nel 2007.

La mozione dell’UDC zurighese sembra però avere un altro scopo: quello di ribadire la volontà di una parte dello schieramento politico di introdurre il divieto totale di assistenza al suicidio. Tale volontà è la stessa che in gennaio è riuscita a far dichiarare valida dal parlamento cantonale un’iniziativa popolare dell’Unione democratica federale (UDF, una piccola formazione di destra) che vuole vietare l’aiuto al suicidio alle persone che vivono nel cantone da meno di un anno. Ora, la proposta di una tassa per gli stranieri che fruiscono del suicidio assistito, non fa che alimentare la tensione su questo tema.

Proposta inaccettabile

«È una misura inadeguata ed inaccettabile» – dice a swissinfo.ch Alberto Bondolfi, professore di etica alla Facoltà autonoma di teologia protestante dell’Università di Ginevra – «poiché tutte le inchieste che vengono fatte per altri comportamenti, di cui si dubita del carattere delittuoso, non vengono fatturate agli attori esteri».

«Si pensi ad esempio al fatto che dopo ogni incidente stradale si fa un’inchiesta: se vi sono implicate persone straniere, i relativi costi non vengono loro fatturati. L’inchiesta viene cioè fatta in ogni caso, senza guardare alla cittadinanza di coloro che vi sono implicati».

Poi Bondolfi precisa il suo giudizio: «Questo episodio mostra come si sia maldestri nel voler regolare la pratica del suicidio assistito. Personalmente sono del parere che esso vada regolato più di quanto non si faccia attualmente con le sole due righe dell’art. 115 del Codice penale. Ma se si vuole regolamentarlo in maniera più adeguata, sicuramente non lo si può fare in questo modo del tutto inaccettabile, sia sul piano giuridico che etico».

Eguaglianza giuridica

Parere analogo viene espresso da Bernhard Sutter, di Zurigo, membro del consiglio direttivo di “Exit”, una delle organizzazioni di aiuto al suicidio operanti in Svizzera.

«Nel canton Zurigo», dice Sutter, «tutti i casi di suicidio vengono indagati dall’autorità. I relativi costi sono a carico dello Stato, poiché le indagini vengono svolte nell’interesse della collettività. Secondo la mozione, ora i costi dovrebbero essere sopportati dagli eredi degli stranieri che non si suicidano da soli ma si fanno aiutare».

In altre parole, prosegue Sutter, «se un suicida che viene dall’estero si toglie la vita da solo, i suoi eredi non devono pagare nulla. Il che sembra alquanto strano. Inoltre, non è per nulla chiaro perché ciò debba valere solo per chi viene dall’estero. Anche all’interno ci sono persone che non pagano imposte, il che violerebbe il principio dell’eguaglianza giuridica, che vale anche nel canton Zurigo».

«Inoltre – aggiunge – è difficile riscuotere denaro da eredi che vivono all’estero, i quali potrebbero anche ricorrere in tribunale, con buone probabilità di successo, per violazione del principio di eguaglianza».

Legge contraria al diritto federale

Questi argomenti sono stati più o meno quelli adoperati nel parlamento zurighese anche da socialisti, ecologisti e verdi-liberali, che si sono opposti alla mozione. Inutilmente, poiché la maggioranza borghese l’ha approvata con 93 voti contro 51, e contro il parere del governo cantonale. Lo Stato non può – ha sostenuto l’esecutivo – scaricare su soggetti terzi i costi prodotti da un’inchiesta in caso di suicidio se non emergono fatti penalmente rilevanti.

L’avvocato Ludwig Minelli, fondatore di “Dignitas”, l’altra associazione di assistenza al suicidio (che presta la sua opera anche agli stranieri), mette in evidenza come il governo zurighese abbia segnalato al parlamento cantonale che la mozione dell’UDC contrasta con il diritto federale.

Così, dopo la decisione del parlamento, «il governo dovrebbe ora elaborare una proposta di legge contraria al diritto federale», dice Minelli, per cui «dovrà farsi venire un’idea. Altrimenti sarà materia di lavoro per il Tribunale federale».

Da parte sua, l’autore della mozione (Bruno Walliser) ha osservato con sarcasmo: «Il governo cantonale ha già dato prova di creatività, quando era il caso di introdurre nuove imposte». E in effetti tocca ora all’esecutivo zurighese preparare e sottoporre al parlamento una proposta di legge che corrisponda al contenuto della mozione.

Silvano De Pietro, swissinfo.ch

Il diritto in vigore punisce l’assistenza al suicidio solo nel caso in cui sia praticata per motivi egoistici. Manca ogni altra normativa specifica in materia, pur se esistono alcune disposizioni a livello cantonale.

Questa situazione giuridica ha facilitato negli ultimi anni la nascita in Svizzera di organizzazioni di aiuto al suicidio, che dietro compenso offrono assistenza concreta alle persone che desiderano morire. A tali organizzazioni si rivolgono anche molte persone provenienti dall’estero.

I locali utilizzati e determinate pratiche adottate nell’aiuto al suicidio hanno suscitato apprensione nella popolazione e negli ambienti politici.

Il Consiglio federale ha quindi incaricato l’amministrazione di appurare in dettaglio la necessità di agire a livello legislativo. Premettendo però che, come in passato, le persone che vogliono morire devono poterlo fare in modo dignitoso ed eventualmente con il sostegno delle organizzazioni di aiuto al suicidio.

Il rapporto che ne è scaturito propone due varianti di disciplinamento. La prima tenta di garantire l’equilibrio tra la libertà personale e la commercializzazione dell’aiuto al suicidio: le organizzazioni impegnate in questo campo devono agire secondo direttive chiare.

Come seconda variante, il governo svizzero propone il divieto totale dell’assistenza prestata da tali organizzazioni.

Il Consiglio federale propende per la prima variante, poiché ritiene che offra maggiori vantaggi, come impedire gli abusi e garantire il massimo grado di autodeterminazione. La procedura di consultazione si è già conclusa, ma i risultati non sono ancora noti.

In Svizzera sono attualmente attive e conosciute tre organizzazioni di aiuto al suicidio:

Exit (Svizzera tedesca): fondata nel 1982, ha sede a Zurigo e conta attualmente circa 50 mila soci.

Exit A.D.M.D. (Svizzera romanda): istituita anch’essa nel 1982, ha sede a Ginevra.

Dignitas: istituita nel 1998, ha sede a Forch (Zurigo). Conta circa 5 mila membri ed accetta le domande di aiuto al suicidio indipendentemente dalla cittadinanza dei richiedenti.

Pur ricevendo un compenso per le proprie attività (Dignitas chiede un importo di circa 10’000 franchi), lo statuto di queste organizzazioni stabilisce che esse non sono a scopo di lucro.

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