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Dopo il Credit Suisse, altre banche svizzere tremano

La Banca cantonale di Basilea ha un'importanza enorme per l'economia dei due cantoni omonimi Keystone

Le 13 banche svizzere ancora sotto inchiesta negli Stati Uniti perché sospettate di delitti fiscali hanno poche speranze di sfuggire a una severa sanzione, dopo la multa di 2,6 miliardi di dollari inflitta al Credit Suisse. Alcuni pezzi grossi rimangono nel mirino del Dipartimento di Giustizia (DoJ).

La Banca cantonale di Zurigo (ZKB) dallo scorso anno è considerata il terzo istituto “troppo grande per fallire” della Svizzera, a causa della sua elevata quota di crediti che offre a privati e aziende all’interno del Paese. La Banca cantonale di Basilea (BKB) gioca un ruolo capitale nei cantoni di Basilea Città e Campagna, mentre Pictet e Julius Bär, che è la terza maggior amministratrice patrimoniale svizzera, sono dei giganti nel settore del private banking.

La ZKB ha cessato le attività con clienti negli Stati Uniti alla fine del 2011, ma solo dopo avere accumulato 1,8 miliardi di franchi in attività negli Stati Uniti. Quanto alla BKB si suppone che negli ultimi anni abbia gestito fino a 600 milioni di franchi di averi americani.

La multa al Credit Suisse “fungerà da modello per gli altri casi di banche svizzere. Non c’è alcuna base per il calcolo delle multe, quindi viene stabilita piuttosto arbitrariamente dalle autorità statunitensi. Sicuramente anche alle altre banche costerà più di quanto ci si era aspettati”, pronostica l’esperto di diritto economico Peter V. Kunz.

Il 19 maggio 2014, il Credit Suisse (CS) ha accettato di pagare una multa di 2,8 miliardi di dollari e di fare un’ammissione di colpevolezza davanti a una Corte federale della Virginia.

Alla seconda più grande banca svizzera è stato imposto di versare 1,8 miliardi dollari al Dipartimento di Giustizia USA, 715 milioni di dollari all’autorità di vigilanza bancaria di New York, 196 milioni di dollari all’autorità di vigilanza dei mercati americana (la Securities and Exchange Commission, SEC) e 100 milioni di dollari alla Federal Reserve statunitense (la Fed).

È la multa più elevata finora inflitta a una banca svizzera ed è pari a tre volte e mezzo quella inflitta all’UBS nel 2009.

Il CS ha anche fatto un’ammissione di colpa, ma non gli viene ritirata la licenza bancaria. Nel corso dei prossimi due anni dovrà presentare i libri contabili della sua gestione patrimoniale all’autorità di vigilanza bancaria di New York.

Il notevole inasprimento del perseguimento del DoJ in buona parte può essere spiegato anche dal fatto che il CS e molte altre banche svizzere hanno continuato le pratiche illegali anche dopo la sanzione inflitta all’UBS.

Nell’errata convinzione di essere abbastanza lontane dagli Stati Uniti per sfuggire a sanzioni, hanno ripreso clienti americani dell’UBS che hanno evaso le imposte, offrendo loro di metterli al riparo dalle autorità fiscali USA.

Un segnale di avvertimento

La questione aperta è se qualche altra banca svizzera subirà la stessa sorte della Wegelin, che è stata costretta a dissolversi dopo essere stata condannata da un tribunale penale all’inizio del 2013. Molti osservatori negli Stati Uniti ritengono tuttavia che il DoJ non abbia più alcun interesse a volere scalpi simbolici.

La banca Wegelin è stata inchiodata dalla giustizia degli Stati Uniti perché ha deliberatamente agito in flagrante illegalità ‘pescando’ clienti dell’UBS dopo che questa era stata condannata, afferma l’avvocato fiscalista della Florida, Teig Lawrence. Inoltre, la Wegelin non ha cooperato con gli Stati Uniti quando è stata messa sotto inchiesta, aggiunge il legale americano.

In documenti presentati il 19 maggio a un tribunale statunitense, il Credit Suisse è stato anche accusato di distruzione di prove e di ostruzione alle indagini della DoJ. È pure finito nel mirino di una Commissione d’inchiesta del Senato degli Stati Uniti. Essendo la seconda più grande banca svizzera, era un bersaglio ideale da colpire con una sanzione esemplare, quale segnale di avvertimento al resto del mondo.

Ma Lawrence ritiene che il Credit Suisse possa essere l’ultimo caso esemplare. Nella formulazione delle dichiarazioni del DoJ l’avvocato intravvede anche delle speranze per le due banche cantonali. Il DoJ ha infatti elogiato le autorità svizzere per i loro recenti sforzi per risolvere il contenzioso sull’evasione fiscale.

“Adesso un perseguimento aggressivo di banche di proprietà dello Stato sembrerebbe alquanto contraddittorio. Così si invierebbe un messaggio molto ambiguo alla Svizzera”, osserva. “Credo che le banche cantonali probabilmente risolveranno i loro rispettivi casi con accordi di ‘non perseguimento penale’ (non-prosecution agreement, NPA) o di ‘rinvio di perseguimento penale’ (deferred prosecution agreement, DFA), a meno che il comportamento di una data banca sia eccezionalmente vergognoso”.

La reputazione di una banca in materia di sicurezza e affidabilità è capitale. Una vera condanna penale sarebbe una condanna a morte per qualsiasi istituto, poiché i clienti scapperebbero e le licenze potrebbero essere ritirate. Anche un’ammissione di attività criminale senza condanna potrebbe danneggiare irreparabilmente banche più piccole del Credit Suisse.

Un NPA o un DFA potrebbe evitare alle banche di essere trascinate nei tribunali ed essere additate come “criminali”.

Pericoli ancora in agguato

Ma non si deve supporre che il DoJ ora riposi sugli allori. “Benché la nostra azione odierna sia una pietra miliare nei nostri sforzi per rafforzare la legge, il nostro lavoro nel settore off-shore è tutt’altro che finito. E ci aspettiamo ulteriori azioni pubbliche in questo settore nei prossimi mesi”, ha avvertito lunedì scorso il vice procuratore generale degli Stati Uniti, James Cole.

Anche il senatore statunitense John McCain, che siede nella commissione che in febbraio ha pubblicamente torchiato la dirigenza del Credit Suisse, è stato deciso. “Non vedo l’ora di esaminare attentamente questa dichiarazione di colpevolezza per vedere se tiene adeguatamente responsabili a titolo individuale funzionari, direttori e dirigenti chiave e se la dichiarazione sarà sufficiente per contribuire alla dissuasione da una simile cattiva condotta in futuro”, ha affermato.

E la ministra svizzera delle finanze Eveline Widmer-Schlumpf, martedì in una conferenza stampa, non si è fatta illusioni sul fatto che altre banche dovranno affrontare pesanti sanzioni.

La dimensione dell’eventuale sanzione e il carico dovuto alle indagini penali potrebbero già causare problemi agli istituti più piccoli. La Banca Frey, il cui 44% dei patrimoni gestiti – a quanto si dice – proveniva da clienti degli Stati Uniti, l’anno scorso ha annunciato di avere deciso di cessare le attività a causa degli oneri ormai insopportabili, derivanti dalle norme sempre più restrittive e dagli obblighi sempre più pesanti cui sono sottoposte le piccole banche private.

La Neue Zürcher Bank ha cessato le attività di gestione patrimoniale nel 2009, dopo che era finita nel mirino del DoJ. Gli analisti considerano che la Julius Bär e la Pictet siano abbastanza grandi da poter sopportare le multe degli Stati Uniti. Gli osservatori sono invece restii a fare speculazioni sulle sorti delle più piccole Rahn & Bodmer e Neue Privat Bank.

In un’intervista al Sonntagsblick, Brady Dougan ha dichiarato “di non aver tollerato alcuna transazione fiscale illegale all’interno del Credit Suisse”.

Il CEO della seconda banca elvetica ha espresso la sua frustrazione per non essere preso in parola dopo un’indagine durata tre anni e mezzo e dopo che “tutto è ormai noto”.

“Ho continuato la politica fino a quel momento perseguita. Non ho mai tollerato niente di illegale. Mai. In ogni occasione ho insisto per affermare: dobbiamo rispettare le leggi”, ha puntualizzato Dougan.

Il Credit Suisse ha regole e istruzioni chiare circa lo svolgimento delle attività transfrontaliere, ha aggiunto il CEO. “Purtroppo, abbiamo scoperto troppo tardi che ci sono persone che hanno violato queste istruzioni”.

Bancari, consulenti e avvocati nel mirino

Nell’ambito di un piano per porre fine al contenzioso fiscale tra la Svizzera e gli Stati Uniti, le 13 banche elvetiche oggetto di indagini penali americane sono state collocate nella ‘categoria uno’ degli istituti che devono risolvere i problemi con il DoJ. Ma nell’ambito dell’intesa raggiunta l’anno scorso, il governo svizzero è riuscito ad ottenere la rinuncia del DoJ a mettere sotto accusa le banche rimanenti. Queste devono classificarsi nelle categorie due, tre o quattro, a seconda del grado di colpevolezza nell’aiutare i clienti statunitensi ad evadere le tasse.

Ciò non significa comunque che sono di sicuro al riparo da procedimenti penali. Ogni banca che consapevolmente o inconsapevolmente si dichiara nella categoria sbagliata potrebbe trovarsi espulsa da questo piano e alla mercé del DoJ.

Inoltre, lo scorso anno degli avvocati si sono interrogati se, a prescindere dalla loro colpevolezza, l’onere finanziario per fornire le prove documentate sulle loro attività negli Stati Uniti, non possa essere eccessivo per alcune piccole banche. “È un esercizio costoso che potrebbe distruggere alcune piccole banche. Molte banche in questo momento stanno lottando, talune sono anche in perdita, e questo è un enorme costo aggiuntivo che non saranno in grado di sopportare”, ha detto a swissinfo.ch lo scorso dicembre, Christian Fischer, socio dello studio legale CFM Partners.

Inoltre, il DoJ sta dando la caccia a singoli banchieri fortemente coinvolti in reati di evasione fiscale, come anche a gestori patrimoniali, avvocati e società di consulenza che hanno aiutato le banche a creare conti fasulli e società di comodo.

La società di gestione patrimoniale Swisspartners ha recentemente annunciato di aver raggiunto un’intesa con il DoJ per chiudere il contenzioso fiscale: oltre a pagare una multa di 4,4 milioni di dollari, ha fornito 110 dossier di clienti che avrebbero eluso il fisco americano.

Tra le singole persone già incriminate negli Stati Uniti vi sono otto dipendenti o ex impiegati del Credit Suisse.

Se il Credit Suisse è probabilmente l’ultimo dei ‘grandi trofei’ del DoJ, molti altri attori hanno ancora di che preoccuparsi.

Nell’agosto 2013, le autorità statunitensi hanno comunicato di avere messo sotto inchiesta penale 14 banche svizzere. Il Dipartimento di Giustizia aveva indagato anche su un’altra banca, la Neue Zürcher Bank, prima che questa dovesse chiudere.

Né gli Stati Uniti né le autorità svizzere hanno fornito i nomi delle banche, ma i media hanno stilato il seguente elenco (alcune banche hanno confermato di far parte della lista):

Credit Suisse

Banca cantonale di Zurigo

Pictet

Julius Baer

Banca Cantonale di Basilea

Wegelin (nel 2013 ha chiuso)

Rahn & Bodmer

Neue Zürcher Bank (nel 2011 ha chiuso)

New Private Bank

Bank Frey (nel 2013 ha annunciato che avrebbe chiuso)

Filiali svizzere di banche estere:

HSBC (Britannica)

Liechtenstein Landesbank (nel gennaio 2014 ha annunciato che sarà chiusa)

Leumi (israeliana)

Hapaolim (israeliana)

Mizrahi (israeliana)

(Traduzione dall’inglese: Sonia Fenazzi)

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