Sempre più persone in fuga per i cambiamenti climatici
Quando si parla di sfollati o rifugiati si pensa in genere alle vittime della guerra e dei conflitti. Ma oggi sempre più persone sono colpite da catastrofi naturali.
Il cambiamento climatico è un dato di fatto. Ne è convinto Walter Kälin, professore di diritto internazionale e consigliere speciale dell’ONU per gli sfollati interni. «Una delle conseguenze visibili di questi mutamenti è il numero crescente di persone che perdono tutti i loro averi a causa di catastrofi naturali», spiega Kälin a swissinfo. Aiutare queste persone fa parte delle sue priorità.
Si tratta di situazioni che necessitano di un’analisi a sé, poiché a differenza di quanto avviene in caso di conflitti, se ci sono di mezzo catastrofi naturali il mancato rispetto dei diritti umani degli sfollati deriva più da indifferenza e da mancanza di attenzione che da una precisa volontà.
Aumento dei rischi legati al clima
Negli ultimi anni, il numero delle catastrofi naturali è raddoppiato. Una parte di questo aumento va ricondotto a statistiche più affidabili. Ciò non toglie che nel complesso i rischi legati al clima sono cresciuti in modo marcato.
Secondo i dati a disposizione di Kälin, lo scorso anno si sono verificate più di 400 catastrofi naturali. In totale, hanno coinvolto 234 milioni di persone. Più di 16’000 hanno perso la vita; milioni hanno dovuto lasciare per periodi più o meno lunghi le loro dimore.
Fenomeni della portata dell’uragano Katrina o del ciclone Nargis sono ancora l’eccezione, «ma in paesi come l’Honduras, il Mozambico o il Madagascar tempeste tropicali e alluvioni appartengono purtroppo già alla normalità», spiega Kälin.
La comunità internazionale non è ancora sufficientemente preparata ad affrontare queste situazioni. «Dobbiamo trovare delle risposte umanitarie adeguate se vogliamo contrastare l’attuale evoluzione sul lungo termine».
Prevenzione
Insieme all’Ufficio delle Nazioni unite per gli affari umanitari (OCHA), Kälin ha elaborato una serie di linee guida per migliorare la protezione dei diritti umani delle persone colpite da catastrofi naturali.
Si tratta soprattutto di diminuire il numero delle vittime preparando meglio la popolazione delle regioni a rischio ai possibili pericoli.
«In Mozambico, per esempio, negli ultimi anni siamo riusciti a far scendere il numero dei morti da qualche centinaio a qualche dozzina l’anno grazie all’installazione di sistemi d’allarme e ad esercizi di evacuazione»
Il Mozambico, uno dei paesi più poveri al mondo, è ripetutamente colpito da alluvioni. La maggior parte delle vittime sono contadini. La furia delle acque non distrugge solo le loro case, ma anche i campi.
Una migliore preparazione da parte delle autorità significa essere in grado di fornire al momento opportuno medicinali, generi alimentari e acqua potabile.
Oggi, nella maggioranza dei casi, l’aiuto d’urgenza arriva in tempi brevi, grazie anche al CERF (Central Emergency Response Fonds), il nuovo fondo d’emergenza dell’ONU. Il CERF è sostenuto anche dalla Svizzera.
Ma passato il primo momento, quando i soccorritori si ritirano e l’interesse dell’opinione pubblica e dei media si orienta verso altri temi, la situazione per gli sfollati si fa spesso difficile.
Piccolo investimento, grande risultato
Kälin fa notare che in molti casi, proprio quando dovrebbero cominciare a ricostruirsi un’esistenza, le vittime vengono lasciate da sole. In questa fase – durante la quale non si tratta più di salvare delle vite, ma che non rientra nemmeno nei normali campi d’azione dell’aiuto alla sviluppo – non è raro che i fondi d’intervento vengano a mancare.
«Gli sfollati rimangono marginalizzati. Hanno poche prospettive di sviluppo economico, poiché mancano loro le cose più basilari, come utensili e sementi».
Gli investimenti necessari a migliorare questa situazione sono relativamente piccoli, ma hanno un grande impatto. Questo perché si aiutano le vittime a riconquistare la loro indipendenza.
L’esperto svizzero ritiene dunque che sarebbe opportuno creare un fondo specifico – analogamente a quanto è stato fatto per il CERF – per la fase immediatamente successiva all’emergenza. Sarebbe un modo per facilitare il ritorno alla normalità degli sfollati.
In buona parte, le problematiche appena illustrate riguardano anche chi ha perso tutto a causa della guerra. Integrare le esigenze degli sfollati negli sforzi per la ricostruzione e il consolidamento della pace è di fondamentale importanza, sia dopo un conflitto che dopo una catastrofe naturale.
swissinfo, Rita Emch, New York
traduzione, Doris Lucini
Si stima che attualmente gli sfollati interni siano 26 milioni.
Lo svizzero Walter Kälin s’impegna in favore dei diritti di queste persone in qualità di consigliere speciale delle Nazioni unite. È in carica da quattro anni.
Gli sfollati interni hanno perso tutti i loro averi nella fuga da guerre, persecuzioni o catastrofi naturali. Poiché non hanno varcato nessun confine di Stato, non hanno lo statuto di rifugiati.
Quando intendono tornare a casa, si scontrano spesso con grandi ostacoli: alloggi o infrastrutture mancanti e sicurezza non garantita.
Il loro mancato coinvolgimento nella ricostruzione e nei processi di pace – specie in seguito a conflitti – può avere come conseguenza dei contrasti su proprietà e risorse, contrasti che a loro volta possono innescare di nuovo dei conflitti violenti.
Perciò Kälin si batte affinché la Commissione ONU per il consolidamento della pace prenda in considerazione anche le esigenze degli sfollati interni.
La Commissione è stata creata nell’ambito delle riforme lanciate dall’ex segretario generale Kofi Annan ed è diventata operativa nel 2006.
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