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La Svizzera italiana si riscopre terra di ulivi

Primo pianto di rete a terra con olive; si intravvedono sfocati uliveto e raccoglitore in ambiente prealpino
Non fosse per il riscaldamento climatico, sarebbero ancora gli uliveti più settentrionali d'Europa. © Keystone / Ti-press / Pablo Gianinazzi

È iniziata venerdì la raccolta delle olive in Ticino. Nel cantone più meridionale della Svizzera, negli ultimi trent'anni, l'ulivo è protagonista di un ripopolamento, della salvaguardia delle varietà e di un'ottima, seppur esigua, produzione d'olio. Vi ha inoltre sede il frantoio più in quota d'Europa, a 620 mslm, dove anche chi ha un solo chilo di olive può partecipare a una molitura collettiva.

Il mito della Sonnenstube, che vuole che il Ticino sia il soggiorno soleggiato della Svizzera, è stato in parte sfatato: le statistiche meteo mostrano che a sud delle Alpi piove di più che sull’Altipiano. Il clima, però, è certamente più mite, al punto che da almeno mille anni qui cresce anche l’ulivo. 

La coltivazione di questo albero da frutto nella regione del Lago di Lugano è attestata da documenti dell’Alto Medioevo, riporta il Dizionario storico della Svizzera. Più tardi, insieme alla canapa e alla vite, sarà tra le attività economiche integrative di Bissone, allora villaggio di pescatori dal quale partiva il traghetto per raggiungere la sponda luganese del bacino. 

La passione per l’ulivo emersa in Ticino non è insomma una moda passeggera, ma la riscoperta di una tradizione. Nell’anno del coronavirus, l’associazione Amici dell’Olivo -dovendo rinunciare alle serate di degustazione e alle gite enogastronomiche- ha deciso di impegnarsi in un censimento delle piante. Da metà giugno, ne ha già contate 5’600, ma secondo il presidente Claudio Premoli si arriverà facilmente a 7-8’000: “oggi chi costruisce un giardino nuovo o una casa nuova, una volta su tre pianta un ulivo”.

Apparentemente gli uliveti ticinesi non sono i più settentrionali d’Europa. Ne resisterebbero alcuni sull’isola Anglesey, Regno Unito, piantati nel 2007 con la complicità dei cambiamenti climatici.

Raccolta collettiva

In effetti, il numero di possessori di una o poche piante è maggiore di quello dei veri olivitcoltori. Ma chi decide di raccogliere le olive pur non avendo la quantità minima per rivolgersi al frantoio (50 kg) può donare il raccolto all’associazione. Nel 2018, ciascun donatore ha ricevuto in cambio una boccetta d’olio per degustare il risultato della molitura collettiva effettuata al frantoio di Sonvico, che secondo una ricerca di Premoli è il più in quota d’Europa.

Uliveto alle pendici di una collina lungo un lago; raccoglitori all opera
In un’immagine d’archivio, i volontari che ogni anno si occupano di raccogliere le olive a Gandria (proprio qui è iniziata la raccolta 2020, venerdì 23 e sabato 24 ottobre). © Keystone / Ti-press / Gabriele Putzu

L’Associazione nacque nel 2001 da un gruppo di amici che si erano occupati di ripopolare di piante di ulivo l’area di Gandria, al confine con l’Italia. Nello stesso luogo, dal 2002, è allestito il ‘Sentiero dell’ulivo’, percorso didattico che mette in risalto storia, cultura e proprietà benefiche dell’olio.

Per il 2020, ci si aspetta in Ticino una buona annata olivicola. “Il 2019 è stato invece un anno da dimenticare”, rievoca Claudio Premoli. “Le olive erano poche e di scarsa qualità. In primavera, a causa del freddo, la fioritura non è cominciata col piede giusto; poi c’è stata anche un’estate abbastanza secca, calda e quelle poche olive che c’erano sono state colpite dalla mosca olearia”.

I nemici dell’olivo

Il censimento ha anche lo scopo di suscitare l’interesse delle aziende produttrici di preparati fitosanitari, poiché da ottobre non sarà più omologato l’unico prodotto finora utilizzabile in Svizzera contro la suddetta mosca.

La mappatura degli olivi può inoltre aiutare a capire cosa succederebbe se si propagasse in Ticino il batterio xylella fastidiosa, che è all’origine di una gravissima fitopatologia che sta colpendo l’olivicoltura italiana, ma per fortuna sulle colline sudalpine non è arrivata. “Per ora è arrivata una volta sola nella Svizzera tedesca, diversi anni fa, su una pianta di caffè. Hanno dovuto estirpare tutti gli alberi nel giro di 500 metri, perché la oltre che l’olivo attacca anche le piante da frutta col nocciolo o gli oleandri, ad esempio”.

Due alberi di ulivo, di cui uno visibilmente antico, con accanto delle arnie e una mola; giornata soleggiata
A sinistra, un olivo millenario della Puglia messo a dimora a Lopagno (Capriasca), non lontano da Lugano. © Enzo Ferrari

Storicamente, invece, il nemico fu il freddo. “L’ulivo si è sviluppato bene sulle rive dei laghi di Lugano e Locarno fino a quando tre gelate tra il 1400 e il 1700 distrussero tutto e rimase soltanto una quarantina di piante a Castagnola”, spiega Premoli. “Parecchio tempo dopo si è cominciato a piantarli attorno ai vigneti”. A essere diffuse erano però soprattutto le razze spontanee, gli olivastri. Attraverso selezioni e innesti si riuscì a far dare loro frutti più grandi ma non a scopo alimentare, bensì per ricavarne olio lampante, “per accendere le lampade e illuminare le strade dei paesi”. Un prodotto per cui verosimilmente si è perso interesse con l’avvento della luce elettrica.

Tra olio e cosmetici

L’artefice della reintroduzione dell’ulivo in Ticino è il produttore vitivinicolo Claudio Tamborini, che ne possiede 400 tra Castelrotto, Lamone e Comano. Prima di questi, ne ha piantati a decine in tenute che non ha più in gestione, ad esempio su quel Colle degli Ulivi di Coldrerio che nel 1992 gli diede lo spunto per effettuare delle ricerche storiche e commissionare uno studio agronomico al fine di rilanciare la coltivazione.

Primissimo piano di una cassetta verde con, all interno, olive verdi e nere
© Keystone / Ti-press / Pablo Gianinazzi

Oggi Tamborini produce un ‘Olio del Ceresio’ ricavato, ci dice al telefono, per il 65% da olive ticinesi -provenienti dalle sue tenute e dalle piante della Città di Lugano – e per il 35% dalle rive italiane del Lago. La resa del 2018 è stata di 450 litri (900 bottiglie).

È invece 100% ticinese l’olio imbottigliato da un altro produttore di vini e distillati, Angelo Delea, che ha quasi 500 piante e un suo frantoio a Losone. Con la partecipazione di piccoli privati, nel 2018 ha lavorato 1’300 chili di olive ricavandone circa 130 litri d’olio.

Il censimento contempla tutti gli ulivi incluse le piante singole (in terra o in vaso) e gli uliveti medi (20-50 piante, di proprietà di patriziati, parrocchie o comuni). Nuova entrata è la scuola agraria cantonale, che nel 2020 ha consegnato al frantoio i suoi primi due quintali di olive.

Entrambi gli olii extra vergini ticinesi hanno un grado di acidità basso.

A Losone, la cosiddetta sansa che rimane dopo la frangitura (che a livello industriale si sfrutta per l’ulteriore estrazione di olii alimentari o rivenduta come concime) è destinata ai centri estetici e agli alberghi. Può infatti essere usata per trattamenti di bellezza come maschere e scrub.

Varietà rare?

“A livello mondiale”, chiarisce Claudio Premoli, “le varietà di Ulivo sono circa 1200. In Ticino ne abbiamo forse una ventina. Quelle più comuni, perché più resistenti alle nostre condizioni meteorologiche, sono 7 o 8”. Sono quelle che l’Associazione ha scelto per la sua campagna di piantumazione, fornendo a prezzo di costo esemplari da 2 o 4 anni a chi vuole piantarli nel proprio giardino per contribuire all’espansione dell’ulivo nella Svizzera italiana.

Non è ancora nota, invece, la varietà degli esemplari salvaguardati da Pro Specie Rara. “Abbiamo fatto una ricerca storica e sul terreno per trovare le piante di ulivo più vecchie e le abbiamo moltiplicate”, riferisce Manuela Ghezzi, responsabile per la Svizzera italiana della fondazione che ha come scopo recuperare e conservare varietà e razze antiche.

Basandosi su testimonianze di anziani o su documentazione scritta, Pro Specie Rara ha individuato le aree ticinesi che storicamente hanno ospitato uliveti e ha prelevato delle talee dagli alberi rimasti, affidandole dapprima affidate a vivaisti che ne hanno tratto delle piantine, poi a dei coltivatori che le hanno fatte crescere e le conservano.

Solo la (futura) analisi genetica dirà se queste varietà sono rare, “perché a livello morfologico, di aspetto è difficile riconoscere la varietà dell’ulivo. Però presumiamo che siano degli ulivi particolari, delle selezioni più vecchie di quelle in commercio oggigiorno”.

“Sul Lago di Como hanno già fatto analisi genetiche e hanno scoperto che ci sono genotipi unici, quindi piante che non corrispondono ad altre oggi usate per la maggiore”, prosegue Ghezzi. “È possibile allora che queste nostre piante del passato siano di altre varietà o sottovarietà che magari si sono meglio adattate al freddo”.

Lago di Lugano [voce del Dizionario storico della Svizzera]Collegamento esterno
Gli olivi di Anglesey [articolo di Wales Online, in inglese]Collegamento esterno
Sentiero dell’olivo, Gandria [scheda di ticino.ch]Collegamento esterno

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