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Bibì e Bibò all’Expo #day2, non è finita finché non è finita

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Sintesi della seconda giornata: "spottoni no grazie"

Dopo aver percorso, nel #day1, 12 chilometri a piedi senza contare il tempo passato in piedi in coda ai padiglioni più grossi, il giorno seguente Bibò viene folgorato da un’idea: “entriamo, andiamo fino in fondo e torniamo indietro, così non troviamo code” dice a Bibì, che prontamente lo asseconda.

Bibi e Bibo all’Expo rsi

Detto fatto, i due si affrettano di buon passo e nel giro di una mezz’oretta arrivano alla fine del Decumano, il vialone principale di Expo. Dove si accorgono che, se loro sono entrati dall’entrata est, un sacco di gente l’ha fatto dall’entrata ovest, posta proprio alla fine di detto vialone. Una delle idee più inutili della storia.

Bibì e Bibò, Las Vegas

La passeggiata ha però avuto il pregio di chiarire le idee, e stabilire le priorità. Expo si estende praticamente tutta lungo il vialone principale, il Decumano, su cui si affacciano i padiglioni. Dà l’impressione di una piccola Las Vegas, visto che i padiglioni sono quasi tutti molto appariscenti e per nulla inseriti in un contesto architettonico.

Dove son finite le stelle? rsi

Lavori in corso

Bibì e Bibò durante la passeggiata si sono anche resi conto che effettivamente Expo non è finita: ci sono ancora parecchi padiglioni chiusi, a partire dal grande shop principale, e anche alcuni cluster, i padiglioni tematici che riuniscono più paesi sono o chiusi o aperti parzialmente, così come i diversi padiglioni nazionali, in alcuni dei quali si entra liberamente ma ci si trova magari l’elettricista su una scala.

Anche i padiglioni regionali italiani hanno i loro problemi. Bibì e Bibò non hanno potuto visitare quello della Lombardia, ad esempio: problemi all’impianto climatico: caldo tipo-Sahara. Il piccolo padiglione della Basilicata è invece senza corrente elettrica, e così via.

C’è però da dire che Expo è talmente grande che quello che rimane basta e avanza, e non si incontrano grossi disagi.

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Slow food molto visitato dalle scuole rsi

Padiglioni e sbadiglioni

Semmai il problema è distinguere quali padiglioni visitare e quali no. Ci sono quelli belli e in tema, quelli pubblicitari ma piacevoli (ad esempio Slowfood, o Nestlé), quelli pubblicitari e basta (McDonald’s che… altri non è che… un normalissimo ristorante McDonald’s), quelli non pubblicitari ma parecchio brutti.

Bibì e Bibò iniziano dal Sultanato dell’Oman. Che altro non fa che spiegare un po’ il tipo di paese, le risorse alimentari, condendo il tutto con hostess occidentali in minigonna (un po’ strano per un paese islamico). Non manca, alla fine, l’omaggio al Sultano con un grande quadro all’uscita. Un fil rouge che Bibì e Bibò ritroveranno nel corso della giornata.

Sultano dell’Oman con hostess scosciata rsi

Dall’Oman Bibì e Bibò passano alla Russia, e qui si capisce cosa si intende per “Las Vegas”. Architettonicamente opulento e magnificente, il Padiglione (almeno la parte visitabile al momento) a livello di contenuti è piuttosto limitato: sostanzialmente due bar ipertecnologici in cui ti vengono offerti assaggini liquidi e solidi.

Opulenza russa rsi

Si passa all’Estonia: caruccio, uno dei pochi tra l’altro a promuovere una raccolta fondi, anche se magari chiamare il distintivo da acquistare “magna” non è stata una mossa furbissima.

Raccoltza fondi con caduta di stile rsi

Arte moderna in Slovacchia, dove Bibò può infine esaudire il suo sogno segreto: autografare una donna nuda. Finta però.

Donne d’autore slovacche rsi

Made in Japan, le cose si fanno serie

Finalmente si arriva a un padiglione interessante, quello giapponese. E infatti c’è un’ora di coda. Ma la vale tutta. Bello, molto tecnologico, ma poetico allo stesso tempo, nella prima sala ti ritrovi “dentro” a un video, nella seconda puoi servirti all’albero del nutrimento scaricandoti alimenti virtuali sullo smartphone, nel terzo vieni fatto accomodare in un ristorante virtuale, in cui le bacchette sono dei mouse, e i piatti degli ipad. Bello bello bello.

Alimenti virtuali per lo smartphone rsi

Solo che poi esci e ti trovi in una specie di costosissimo fast food giapponese in cui ti servono (anzi ti vai a pigliare) cibo bello da vedere ma affatto straordinario a prezzi giapponesi.

Ma il Padiglione è forse il più bello tra quelli visti finora da Bibì e Bibò. Semplicemente: ignorare il ristorante

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Pasto virtuale sul tablet. rsi

La ricetta del padiglione perfetto

A questo proposito Bibì e Bibò, nel loro #day2, iniziano a rendersi conto che praticamente tutti i padiglioni, nel bene e nel male, seguono lo stesso fil rouge:

benvenuto -> compitino su quanto è importante che ci sia cibo per tutti -> spottone su “quanto è bello il mio paese” -> ristorante -> shop -> arrivederci.

Questi ingredienti sono uguali per tutti. Le dosi sono a piacere. Se la Svizzera calca quasi nulla sulla proporzione turistica, il Kazhakistan, ad esempio, fa dello spottone un’arte. Il Padiglione (che è bello scenograficamente e tecnologicamente) è un immenso video promozionale su quant’è bello il paese che ospiterà Expo 2017, quante risorse alimentari produce, e su quanto grandi sono le sue mele, veloci i suoi cavalli, furbi i suoi pesci gatto, e via così. Però fatto bene, con tanto di cinema dinamico decisamente impressionante.

Se la tirano giusto un po’, ecco. Gli occhialetti 3d sono a specchio. Per dire.

Bibò a suo agio rsi

Giro d’Europa

A far da contrasto alla grandeur kazaka, ecco la sobrietà delle Santa sede. Padiglione minuscolo, parecchio somigliante a una chiesa, ma che ospita una perla: l’ultima cena del Tintoretto. Originale. Andateci.

Un altro padiglione che si distingue è quello olandese. Intanto non è un padiglione ma una specie di piazzetta all’aperto, poi perché tutto è fatto con materiali riciclati, e poi perché l’ambiente è decisamente rilassato, diciamo così.

Simile il modo attorno al padiglione francese, bello architettonicamente ma che alla fine, dentro, è un museo abbastanza normale.

Abbastanza deludente la Spagna, che punta a valorizzare risorse e prodotti nazionali, mentre l’Inghiliterra punta tutto sulle… api. L’intero padiglione è un omaggio all’industrioso insetto, con giardino fiorito (ed api svolazzanti) e alveare d’acciaio. Astenersi allergici.

L’alveare britannico rsi

S’è fatta sera ed è ora di cena. Memori dell’esperienza giapponese, Bibì e Bibò decidono di andare sul sicuro: Eataly. Sicuramente pubblicitario, ma affidabile e a prezzo quantomeno accessibile.

Occhi a mandorla

Prima di tornare al treno e all’albergo Bibi e Bibò fanno ancora una puntata in Oriente. Il padiglione cinese è grande e povero di contenuti, oppure Bibì e Bibò non li hanno capiti. Al di là dell’esercito di cuochi di terracotta.

Tutt’altra storia la Thailandia. Bibi e Bibò vengono accolti da ragazze simpaticissime che ancora un po’ si mettono a far le capriole, e si trovano prima all’interno di un cinema circolare, poi al parapetto di una piscina-video-teatro di danza, e infine in un classico cinema.

La video-piscina thailandese rsi

Tutto bene e tutto bello tranne il filmato finale, in cui la parola “spottone” assume significati finora mai esplorati. Il video è dedicato al re di Thailandia (rigorosamente chiamato sempre “Sua Maestà”) che, a dar retta, dev’essere un ibrido tra Einstein, Goldrake, Einstein e la Madonna dell’Addolorata. E di come lavori per il suo popolo “persino quando piove”. Vabbé.

Il padiglione comunque è bello.

Prima di uscire una puntatina al padiglione più deserto tra quelli visitati da Bibì e Bibò: due persone compresi i sottoscritti. E qui rivolgiamo un appello a tutti: fate un’opera di bene, fate un salto a Casa Lituania. Brutto è brutto, ma non più di altri.

Per la cronaca: chilometri percorsi nel #day2 da Bibì e Bibò: 14.

Gino Ceschina

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