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La Russia dietro Trump

Il Presidente americano in carica, Barak Obama, ha lanciato accuse a Vladimir Putin sui presunti attacchi informatici dei russi durante le elezioni presidenziali. 

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Lo ha fatto in un’intervista alla radio pubblica in cui sostiene che Mosca abbia cercato di sabotare le elezioni. Per Obama non ci sono dubbi. Dietro l’attacco dei pirati informatici ai danni del partito democratico c’è la Russia.

Vladimir Putin chiamato in causa direttamente dalla Cia come la mente e il regista degli hackeraggi nelle presidenziali Usa, prima per vendicarsi delle ingerenze di Hillary Clinton nelle elezioni russe del 2011 e poi, strada facendo, per favorire il suo rivale Donald Trump: se le indiscrezioni filtrate sui media Usa, già liquidate dal Cremlino come “una sciocchezza ridicola” che “non può avere nessun fondamento”, dovessero essere confermate dall’indagine ordinata all’intelligence da Barack Obama, si tratterebbe di accuse esplosive, senza precedenti.

Tali da compromettere ulteriormente i già degradati rapporti bilaterali, perché sarebbe difficile fare spallucce di fronte ad un documentato tentativo di una potenza straniera di condizionare l’esito del voto. Salvo un colpo di spugna di Donald Trump, che non crede a questa tesi ma che, come parte in causa, potrebbe sembrare non disinteressato a cancellare questa macchia sulla sua vittoria e che comunque dovrà fare i conti con il giudizio del Congresso, nonché con le sue indagini parlamentari.

Sicurezza da rivedere

Gli Usa si scoprono un vero colabrodo sul fronte della sicurezza informatica, dopo la scoperta che Yahoo! nel 2013 aveva subito un altro attacco, con il furto di un miliardo di account personali, tra cui quelli di oltre 150 mila dipendenti dell’amministrazione americana, tra impiegati della Casa Bianca, militari, agenti della Cia e della Nsa, uomini dell’Fbi.

Il presidente russo in particolare avrebbe personalmente indicato come far trapelare e utilizzare il materiale hackerato ai democratici. 

Regolamento di conti

Un regolamento di conti a cinque anni di distanza con Hillary Clinton, alla quale non avrebbe perdonato di essersi schierata con le manifestazioni di piazza contro i brogli delle elezioni parlamentari russe del 2011, quando il leader del Cremlino temette che gli Usa stessero fomentando un’altra rivoluzione arancione, analoga a quelle che avevano destabilizzato altre ex repubbliche sovietiche. 
La vendetta personale si sarebbe man mano trasformata in uno sforzo teso a mettere in luce la corruzione nella politica americana e tentando di favorire un outsider come Trump, ben disposto verso la Russia.

Ma il magnate continua a polemizzare con la Casa Bianca, secondo la quale il tycoon era “ovviamente consapevole” del coinvolgimento russo nelle elezioni Usa e dell’impatto negativo sulla sua rivale. “Se la Russia, o qualche altra entità, ha compiuto atti di hackeraggio, perché la Casa Bianca ha aspettato così tanto per agire? Perché si sono lamentati soltanto dopo che Hillary ha perso?”, ha twittato.

La linea della Casa Bianca rimane la stessa: Barack Obama non voleva prestarsi alle accuse di politicizzare l’intelligence durante le elezioni – nelle quali sosteneva apertamente la Clinton – e non ha reagito perché gli Usa dipendono più di ogni altro Paese dalle nuove tecnologie di comunicazione e quindi avrebbero più da perdere che da guadagnare in una cyber war. 

Ora gli Usa dovranno ripensare alla loro sicurezza informatica e alla Rete. Putin invece può continuare a godersi il caos di questa vittoria, ma se le accuse diventassero ufficiali le conseguenze potrebbero diventare imprevedibili anche per lui, pure in Europa, dati i timori che circolano delle elezioni in vari Paesi.

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