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Il materiale bellico non si riesporta

fucili in cassa di legno
Niente armi svizzere all'Ucraina: il no del Nazionale. © Keystone / Gaetan Bally

Il materiale bellico prodotto in Svizzera non deve poter essere riesportato verso l'Ucraina: lo ha deciso giovedì il Consiglio nazionale elvetico per 98 voti a 75 e 2 astenuti.

Nulla di fatto per la modifica della legge sulla riesportazione di armamenti svizzeri verso Paesi in guerra (l’Ucraina in questo caso): la Camera bassa del Parlamento ha respinto l’iniziativa parlamentare. 

Che l’iniziativa parlamentareCollegamento esterno elaborata dalla Commissione della politica di sicurezza avesse vita difficile era prevedibile: è infatti stata accolta con un solo voto di scarto (13 a 12) in commissione per poi venir bocciata dalla commissione omologa degli Stati.

In questi casi, quando vi è disaccordo tra le commissioni, l’oggetto viene presentato al plenum che ha infine deciso per la bocciatura. Le ragioni? L’iniziativa viola il diritto della neutralità e, appellandosi al diritto di urgenza, modifica la legge sul materiale bellico appena rivista in senso restrittivo nel 2021 in risposta all’iniziativa popolare detta “correttiva” che voleva vietare l’export tout court di armi.

Questa iniziativa parlamentare, che fa il paio con altri tentativi di allentare la prassi elvetica in materia di materiale bellico su cui il Parlamento dovrà ancora esprimersi, auspicava un allentamento della legge in materia affinché la dichiarazione di non riesportazione decadesse “se è accertato che la riesportazione del materiale bellico in Ucraina avviene in relazione alla guerra russo-ucraina”. Oltre a consentire l’entrata in vigore immediata grazie al diritto di urgenza in caso di accettazione da parte delle due camere, tale eccezione sarebbe stata prorogabile al massimo per due anni, ossia fino al 2025.

Le regole per la riesportazione di armi vanno allentate

Contraria alla parità di trattamento

Secondo la minoranza della commissione – che include rappresentanti di tutto lo spettro politico come fatto notare da Fabien Fivaz (Verdi) – il fatto di citare espressamente l’Ucraina viola il principio della parità di trattamento riconosciuto dal diritto internazionale applicabile ai Paesi neutrali. L’altro punto debole dell’iniziativa, secondo Fivaz, è il ricorso al diritto d’urgenza, ciò che impedisce un dibattito di fondo sulla neutralità e sull’eventuale necessità di modernizzare questo strumento di politica estera, coinvolgendo anche il popolo.

Fivaz ha rammentato al plenum che il Consiglio federale considera l’iniziativa contraria alla neutralità, un parere condiviso anche da eminenti giuristi. Altri oratori, come Damien Cottier (PLR, destr liberale), seppur favorevoli ad allentare la prassi attuale in materia di export di armi, hanno espresso scetticismo nei confronti dell’iniziativa che cita un Paese in particolare, accennando invece alla necessità di una formulazione più generale inclusa in alcune mozioni che contemplano, per esempio, un voto del Consiglio di sicurezza o dell’assemblea generale dell’ONU che riconosca una violazione del diritto internazionale e, in particolare, del divieto del ricorso alla forza.

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“Non siamo vassalli della NATO”

Vista la delicatezza del tema, non sono mancati diversi interventi di esponenti dell’Unione democratica di centro (UDC, destra conservatrice), come Jean-Luc Addor, contrari all’iniziativa parlamentare, considerata un frutto velenoso dovuto alle pressioni di Stati esteri, come la Germania (ma anche Spagna e Danimarca), cui è stato negato il permesso di riesportare materiale bellico prodotto nella Confederazione verso l’Ucraina. La Svizzera, secondo Addor, non deve mettersi a rimorchio della NATO e, quindi, degli Stati Uniti. “Ne va di un principio, la neutralità, che protegge la nostra indipendenza e autonomia”, ha argomentato il deputato democentrista.

Altri oratori critici con l’iniziativa hanno lamentato il tentativo di modificare la legge sul materiale bellico appena due anni dopo la sua revisione. Da sinistra, ci si è chiesti se l’iniziativa, qualora fosse stata accolta, avrebbe modificato il rapporto di forza fra Russia e Ucraina.

Sicurezza svizzera in pericolo

Per la maggioranza della commissione, la modifica legislativa si riferisce a un caso singolo in cui vi è un aggredito e un aggressore che ha senza dubbio violato il diritto internazionale ed è anche limitata nel tempo.

Insomma, tenuto conto della situazione, la Confederazione deve inviare senza indugio un segnale politico alla comunità internazionale, ha dichiarato Thomas Rechsteiner (Centro), secondo cui è in gioco la sicurezza dell’Europa e, di riflesso, della stessa Confederazione.

Quello della riesportazione di materiale bellico è un tema tornato in auge dallo scoppio della guerra in Ucraina. Germania, Danimarca e Spagna, che hanno acquistato armi e veicoli militari dalla Svizzera, vorrebbero riesportarli verso l’Ucraina, ma le loro richieste sono state respinte da Berna.

Mesi di discussioni

La Ruag ha appena chiesto alla Segreteria di Stato dell’economia di vendere alla Germania 96 carri armati Leopard acquistati all’Italia nel 2016 e tuttora stoccati nella penisola. Berlino li consegnerebbe poi all’Ucraina. Una decisione non è ancora stata presa. Ricordiamo che l’azienda di armamento elvetica sta attualmente svolgendo un’indagine interna per far chiarezza sulle dichiarazioni della sua direttrice Brigitte Beck, che nelle scorse settimane ha invitato i Paesi europei in possesso di armi e munizioni prodotte in Svizzera a fornirle all’Ucraina nonostante il divieto in vigore. “Fornite questo materiale all’Ucraina. Noi cosa faremmo in quel caso? Probabilmente nulla. Probabilmente non arriveremmo a perseguirli se dovessero consegnare questi sistemi bellici. Non credo proprio ci sarebbero conseguenze”.

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