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Due giornalisti condannati nel Myanmar

Una Corte di Yangon ha condannato oggi a sette anni di reclusione due giornalisti della Reuters arrestati lo scorso anno mentre conducevano un'inchiesta su violenze compiute dai militari contro appartenenti alla minoranza musulmana dei Rohingya. Un altro episodio destinato a rafforzare i dubbi sulla transizione democratica nel Myanmar.

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I due reporter, Wa Lone e Kyaw Soe Oo, entrambi birmani, sono stati riconosciuti colpevoli di possesso illegale di documenti riservati, ma hanno affermato di essere stati incastrati dalla polizia. La sentenza ha provocato unanimi reazioni di condanna da parte dell’Onu e di attivisti internazionali. Michelle Bachelet, l’ex presidente cilena che proprio oggi ha cominciato il suo mandato di Alto commissario delle Nazioni Unite per i diritti umani, si è detta “scioccata” e ha definito la sentenza “una parodia della giustizia”. 

Il direttore della Reuters, Stephen Adler, ha parlato di “giorno triste per la Birmania, per Wa Lone e Kyaw Soe e per l’informazione ovunque”. Mentre Amnesty International e Human Rights Watch hanno definito rispettivamente “sconvolgente” e “scandalosa” la sentenza.

Quando i due condannati sono stati portati fuori dalla Corte e fatti salire su un furgone della polizia, vi sono stati momenti di tensione tra gli agenti e i molti giornalisti che si trovavano all’esterno. Tra le grida, Wa Lone è riuscito a farsi sentire dai colleghi mentre diceva: “Questo è ingiusto, stanno minacciando la nostra democrazia e distruggendo la libertà di stampa nel nostro Paese”.

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Inchiesta sui Rohingya

Wa Lone, di 32 anni, e Kyaw Soe Oo, di 28, erano stati arrestati mentre conducevano un’inchiesta sull’uccisione di dieci Rohingya nella provincia settentrionale di Rakhine. Entrambi hanno denunciato di aver subito un duro trattamento durante i primi interrogatori. E a Wa Lone non è ancora stato consentito di vedere sua figlia, nata il 10 agosto scorso.

Il caso ha attirato vasta attenzione a livello internazionale, venendo interpretato come una prova di come si siano arenate le riforme politiche inaugurate con la formazione, nel 2016, del governo guidato dalla Premio Nobel per la pace Aung San Suu Kyi. I militari, del resto, che hanno retto per cinquant’anni il Paese con un sistema dittatoriale, continuano a controllare diversi ministeri chiave.

Lo scorso anno circa 700 mila Rohingya furono costretti a fuggire nel confinante Bangladesh per sottrarsi all’ondata di violenze che li prese di mira dopo l’uccisione di 12 agenti delle forze di sicurezza da parte di miliziani estremisti della minoranza musulmana. 

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