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L’omaggio del mondo della musica a Charlie Watts

È morto a 80 anni Charlie Watts, leggendario batterista e cofondatore dei Rolling Stones.

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Lo ha riferito la BBC, citando l’agente britannico del musicista. Watts aveva dovuto annunciare la rinuncia all’ultimo tour degli Stones nei giorni scorsi a causa di un peggioramento delle sue condizioni di salute. Il decesso è avvenuto dopo un’operazione al cuore di emergenza. Proprio ai primi di agosto il leggendario “drummer” aveva dovuto rinunciare alle tredici date del tour negli Stati Uniti per problemi di salute ed era stato sostituito da Steve Jordan, da anni stretto collaboratore di Keith Richards.

“Per una volta sono andato fuori tempo”, aveva spiegato lui dopo aver annunciato il ritiro consigliato dai medici che gli avevano imposto assoluto riposo dopo un intervento cardiaco. E aveva aggiunto: “Sto lavorando duramente per tornare completamente in forma, ma oggi su consiglio degli esperti ho accettato il fatto che questo richiederà un po’ di tempo”.

L’ultimo a entrare nella band

Watts era stato l’ultimo a decidere di entrare nella band nel 1963: aveva 22 anni, un buon futuro da grafico (per anni ha collaborato agli allestimenti scenici degli Stones) e un talento da fumettista (ha firmato una storia a fumetti di Charlie Parker).

Ma era anche uno dei batteristi più in vista della ribollente scena Blues e Rhythm and Blues della Londra di quegli anni: Ginger Baker, per esempio, il folle virtuoso del rock inglese della prima ondata che disprezzava la maggior parte dei suoi colleghi, era uno dei suoi più accesi ammiratori.

Appassionato di jazz

Charlie Watts è una leggenda del rock’n’roll che, nelle rare interviste concesse in 60 anni di carriera, raccontava che in realtà avrebbe desiderato nascere qualche decennio prima, per poter essere un batterista di jazz e suonare al fianco dei suoi idoli come Charlie Parker, Dizzy Gillespie e compagni. Era stata sua l’idea di chiamare Sonny Rollins, “il Saxophone Colossus”, a suonare l’assolo di sax in “Waitin’On A Friend”.

Era un Rolling Stone ma il grande amore musicale della sua vita è stato il jazz: ha anche diretto dei quartetti e una Big Band. La testimonianza più bella di questa passione è stata la visita a sorpresa, compiuta nel 2003, a casa di Stan Levey, un collega dal curriculum glorioso che è stato anche l’unico batterista bianco a suonare con Parker.

Il centro propulsore

Charlie Watts non era certo un virtuoso ma ha fatto parte della schiera dei musicisti insostituibili perché dotato di uno stile e di un suono inimitabili. Chiunque abbia parlato almeno una volta con Mick Jagger, Keith Richards, Ron Wood o Bill Wyman avrà sicuramente sentito che “Charlie” era il centro propulsore della band. Il sound degli Stones è fondato sull’Interplay tra le chitarre ma in realtà i leggendari riff di Keith Richards e il suo modo di scandire gli accordi dell’accompagnamento erano costruiti sull’intesa telepatica con Watts: quella struttura chitarra-batteria che, in modi diversi, da Hendrix con Mitch Mitchell ai Led Zeppelin con Jimmy Page e John Bonham, ha segnato la storia e l’evoluzione del rock.

Charlie Watts aveva swing, nella vita e nel modo di suonare: cercava l’essenzialità della pulsazione, usava delle pause nell’accompagnamento che venivano confuse con la rozzezza tecnica e invece, insieme all’uso del tom e del timpano, erano proprio il segreto del suo stile.

Era un uomo riservato e molto elegante, dotato di un raffinato senso dell’umorismo: il contraltare perfetto ai due super ego di Mick Jagger e Keith Richards. Un uomo che si concedeva di malavoglia perfino alle ovazioni del pubblico degli stadi dove suonavano.
 

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