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«Proseguire sulla strada della collaborazione»

La Svizzera, con la sua piazza finanziaria e i suoi grandi cantieri, non è al riparo da infiltrazioni mafiose. Keystone

Le organizzazioni mafiose sono interessate a qualsiasi attività che produce denaro. Per questo i grandi appalti e i cantieri svizzeri non sono immuni dal rischio di infiltrazioni mafiose. Intervista del Corriere del Ticino a Cataldo Motta, ex procuratore distrettuale nella Puglia meridionale.

È giustificato il timore secondo cui, in Svizzera, le organizzazioni mafiose più che l’intimidazione e la violenza usano la corruzione?

Da tempo le organizzazioni mafiose si sono adeguate, nei rapporti con gli enti pubblici, alla pratica della corruzione. Sia perché è ormai prassi diffusa e costume in molte realtà pubbliche, e quindi meno rischiosa, sia perché essa risente comunque della “qualità” del corruttore avvalendosi implicitamente degli aspetti che caratterizzano le associazioni di tipo mafioso. Tra queste: la forza di intimidazione dell’organizzazione senza necessità di minacce esplicite, che agevola il rapporto con il pubblico funzionario, consapevole di trattare con un esponente delle criminalità organizzata.

Nel passato recente, alle nostre latitudini vi sono stati episodi criminali che alcuni addetti ai lavori hanno ipotizzato possano consistere nei cosiddetti «reati spia» (incendi dolosi, atti intimidatori, eccetera), testimoni della presenza di organizzazioni criminali mafiose. Come trattare, dal profilo investigativo, questi fatti e i sospetti che ne derivano? Quanto sono importanti la condivisione di informazioni investigative e il coordinamento delle indagini in questo campo?

Ogni organizzazione di tipo mafioso per poter assumere la qualità di associazione mafiosa (quella, cioè, i cui componenti, ai sensi dell’articolo 416-bis del codice penale italiano, “si avvalgono della forza di intimidazione del vincolo associativo e della condizione di assoggettamento e di omertà che ne deriva”), deve aver attraversato un periodo, più o meno lungo, nel corso del quale abbia agito come una comune associazione per delinquere commettendo una serie di reati connotati da violenza o minaccia, in virtù dei quali abbia conseguito la cosiddetta «fama criminale».

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«Indebolire la malavita colpendo i suoi capitali»

Questo contenuto è stato pubblicato al Fattori chiave di successo nella lotta alle organizzazioni criminali transnazionali – spiega Pierluigi Pasi, ex magistrato ed ex responsabile dell’antenna luganese del Ministero pubblico della Confederazione – sono l’attività investigativa sul terreno, il coordinamento e lo scambio d’informazioni, ovviamente anche a livello internazionale. Il primo permette d’intercettare i cosiddetti “reati spia”, fra i quali certamente…

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Dal profilo investigativo, è necessario intervenire proprio durante tale fase, non indagando singolarmente su ciascun episodio separatamente dagli altri, bensì leggendoli in un contesto unico e nella prospettiva che essi siano riconducibili a un disegno unitario. E in questo è fondamentale e decisivo lo scambio di informazioni tra le diverse autorità giudiziarie e le diverse polizie giudiziarie. Sono ugualmente imprescindibili il coordinamento delle indagini e la cooperazione internazionale, nella consapevolezza che la criminalità organizzata non ha confini territoriali.

Pensa che le organizzazioni criminali mafiose italiane possano avere un interesse nei grandi appalti e cantieri svizzeri?

Non si può affatto escludere che le organizzazioni criminali mafiose italiane abbiano interesse nei grandi appalti e cantieri svizzeri. Questo genere di criminalità ha interesse in qualsiasi attività che produca denaro (come hanno dimostrato, tra le altre, le indagini sulla operatività della ’ndrangheta in Germania) e proprio con riferimento agli appalti pubblici coniuga la forza di intimidazione con la corruzione. In Svizzera, poi, almeno nei cantoni italiani, non può trascurarsi l’agevolazione nei rapporti dovuta all’uso della lingua italiana.

Dopo 45 anni di onorato servizio, Cataldo Motta è andato in pensione alla fine del 2016. newspam.it

Perché anche la Svizzera, Paese nel quale oggettivamente non c’è una vera emergenza mafiosa, dovrebbe investire risorse per contrastare il fenomeno della criminalità organizzata internazionale?

Il motivo per il quale anche la Svizzera non può non prestare la necessaria attenzione alla possibilità che la criminalità organizzata – italiana o di altri territori – manifesti concreto interesse al suo territorio è questo: non vi è necessità di investire grosse risorse per prevenire o forse già reprimere le azioni che costituiscono i cosiddetti “reati-spia” delle organizzazioni criminali. È sufficiente, ma è indispensabile una intelligente opera di intervento della polizia giudiziaria, coordinata e sistematica.

In definitiva, secondo Lei e secondo i dati raccolti nelle vostre indagini, in Svizzera e in Ticino sono davvero presenti le organizzazioni criminali mafiose? Quali sono le vesti che assumono i membri di queste organizzazioni? Si tratta di un fenomeno in evoluzione?

Le indagini svolte dalla Procura distrettuale della Repubblica della Puglia meridionale (il distretto giudiziario di Lecce, Brindisi e Taranto) non hanno indicato la presenza in Svizzera di organizzazioni criminali mafiose; ma, come si è detto, alla stregua di altri Paesi stranieri il rischio non può essere escluso. È illusorio, infatti, ritenere che vi possano essere porzioni del territorio nazionale o aree di Paesi stranieri che siano immuni dall’interesse manifestato, nei modi più diversi, dagli ambienti di tipo mafioso.

Quali le «armi» da utilizzare per contrastare il fenomeno delle infiltrazioni?

Si è detto che l’unica arma per contrastare il fenomeno delle infiltrazioni, del cui rischio bisogna essere consapevoli, è legata alle modalità di investigare, ai buoni rapporti tra le polizie giudiziarie dei diversi Paesi, alla capacità di lettura contestuale e coordinata di più fatti, alla conoscenza del fenomeno, alla costanza nelle investigazioni, alla messa in comune – in ambito interno, ma anche con l’estero – di informazioni e notizie.

Cataldo Motta, una vita trascorsa in magistratura e in prima linea nella lotta alla criminalità organizzata: qual è il messaggio che vuole mandare ai magistrati (sia italiani sia svizzeri) che si occuperanno della difficile lotta alle organizzazioni criminali italiane?

Non ho la presunzione di indicare ai colleghi che si occupano di criminalità organizzata le vie da percorrere per l’efficacia del contrasto. Posso solo dire che l’esperienza vissuta in 45 anni di pubblico ministero, 30 dei quali dedicati al contrasto delle organizzazioni criminali di tipo mafioso, mi induce a confermare l’importanza di adeguati strumenti normativi (e questo va detto ai governanti dei Paesi che non ne dispongono) e di una strategia operativa che si avvalga di una conoscenza diffusa del fenomeno da contrastare e di una ampiezza di indagini che consenta di intervenire per reprimere non il singolo episodio, bensì il fenomeno criminale del quale i ripetuti episodi siano indicativi: lavoro di squadra, impegnativo ma svolto a servizio della collettività, umiltà dell’approccio, qualità delle investigazioni della polizia giudiziaria, costanza nelle indagini, sistematico coordinamento in ambito nazionale e cooperazione internazionale.


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