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Un’arma su tre venduta nel mondo finisce in Medio Oriente

militare saudita di guardia davanti a un aereo da trasporto
Negli ultimi cinque anni, l'Arabia Saudita, impegnata nel conflitto nello Yemen, è diventato il secondo importatore d'armi al mondo. Keystone

Nell'ultimo decennio, le importazioni di armi degli Stati mediorientali sono più che raddoppiate, mentre a livello mondiale il commercio è progredito del 10%. È quanto emerge dal rapporto dell'istituto di ricerca Sipri, pubblicato lunedì.

I principali paesi produttori di armi sono sempre gli stessi, ovvero Stati Uniti, diversi paesi europei, Russia, Cina… Per contro gli acquirenti cambiano. Tra il 2013 e il 2017, l’Arabia Saudita (secondo principale paese importatore dopo l’India) ha triplicato gli acquisti. In terza posizione l’Egitto, seguito da Emirati Arabi e Cina.

Quest’ultimo paese ha però ridotto di un quinto le sue importazioni rispetto ai cinque anni precedenti, poiché ha un’industria bellica sempre più sviluppata. Non è quindi un caso che Pechino abbia aumentato le sue esportazioni del 38%.

Sono questi alcuni dei principali dati contenuti nel rapporto dell’istituto di ricerca svedese SipriCollegamento esterno, divulgato lunedì.

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Ancora una volta, a figurare in testa alla lista dei paesi esportatori sono gli Stati Uniti, che hanno venduto il 25% in più e detengono ormai il 34% delle quote di mercato. Quasi la metà delle armi made in USA sono finite nei paesi del Medio Oriente.

Svizzera al 14esimo posto

Con una quota di mercato del 2,5%, l’Italia è al nono posto tra i paesi esportatori, dietro a Israele e davanti ai Paesi Bassi. La Svizzera è dal canto suo al 14esimo posto.

L’anno scorso l’esportazione di materiale bellico fabbricato nella Confederazione è cresciuto dell’8% a 446,8 milioni di franchi, stando a quanto indicato dalla Segreteria di Stato dell’economiaCollegamento esterno (Seco), che rilascia le autorizzazioni necessarie per questo commercio.

La Germania è ancora una volta il principale mercato, con un export di 117,7 milioni.

Al secondo posto figura la Thailandia, che ha acquistato sistemi di difesa contraerea per oltre 87 milioni. L’Italia arriva in 11esima posizione, con oltre 8 milioni.

L’ordinanza sul materiale bellico vieta l’esportazione se il paese destinatario è implicato in un conflitto armato interno o internazionale. Dal primo novembre 2012 la Confederazione, qualora rilasci un’autorizzazione di esportazione, può riservarsi il diritto di verificare sul posto se la dichiarazione di non riesportazione sia rispettata.

Facendo valere questo diritto, la SECO ha effettuato nel 2017 controlli in Bosnia Erzegovina, Malaysia, Slovacchia, Vietnam e a Singapore. Da questi controlli è risultato che i paesi in questione avevano rispettato il loro impegno a non rivendere il materiale ricevuto senza l’accordo elvetico.

La Svizzera è uno dei pochi paesi a verificare in loco le sue esportazioni di materiale da guerra, sottolinea la SECO.

Esportazioni criticate

Amnesty International (AI) e il Gruppo per una Svizzera senza esercito la vedono però in tutt’altro modo. Le due organizzazioni rilevano che nell’elenco della Seco figurano anche vendite per 4,7 milioni all’Arabia Saudita, per 3,2 milioni agli Emirati Arabi e per oltre 600’000 franchi alla Turchia. I due paesi arabi sono infatti implicati nella guerra in Yemen, mentre la Turchia in quella in Siria e anche all’interno dei propri confini.

Entrambe le organizzazioni chiedono al governo svizzero di rinunciare a un nuovo allentamento del controllo dell’export, come auspicato dall’industria dell’armamento. Sarebbe “cinico e irresponsabile”, afferma Alain Bovard, giurista alla sezione svizzera di AI.

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