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Sì ai salari minimi in Ticino, ma è un regalo ai frontalieri?

Imprenditori e governo cantonale sconfitti dagli elettori, che approvano l'iniziativa contro il dumping salariale

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A sorpresa i ticinesi hanno approvato alle urne l’iniziativa “Salviamo il lavoro in Ticino” a favore dei salari minimi. La proposta, seguendo l’esempio di Giura e Neuchâtel, intendeva fissare nella Costituzione cantonale il principio delle retribuzioni minime, differenziate a seconda di categoria e ramo economico. La misura era stata avanzata per rendere meno interessante per i datori di lavoro l’assunzione di manodopera transfrontaliera, meno costosa rispetto a quella locale, e porre così indirettamente un freno all’incremento di questo tipo specifico di lavoratori.

Critico il mondo imprenditoriale che reputa l’esito del voto un regalo per i frontalieri che vedranno gonfiarsi la loro busta paga. Di tutt’altra opinione i sostenitori dell’iniziativa lanciata dai Verdi – ecologisti, socialisti, Lega e sindacati – che vedono nella misura un deterrente contro il dumping salariale che penalizza i lavoratori residenti.

Di sicuro dal voto emerge una certa sfiducia dell’elettorato nei confronti della politica e delle parti sociali che non sono riuscite finora a prevenire e circoscrivere le pressioni sul mercato del lavoro ticinese, acuitesi soprattutto con l’entrata in vigore della libera circolazione delle persone concordata da Berna con l’Ue. Resta da vedere però come il principio inserito nella Costituzionale potrà trovare adeguata traduzione sul piano pratico.

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Il commento del ministro ticinese Christian Vitta

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