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La destra di governo fa cadere Draghi

Mario Draghi oggi in senato.
Nonostante abbia intascato la fiducia del Senato, Mario Draghi dovrebbe rassegnare le dimissioni giovedi. Keystone / Fabio Frustaci

Nonostante la fiducia ottenuta di misura in Senato, l'esperienza di Mario Draghi alla guida del Governo italiano dovrebbe terminare dopo 522 giorni. Decisiva è stata la decisione di non votare di M5s, Lega e Forza Italia: tre partiti della sua maggioranza.

A questo punto è più che probabile che il presidente del Consiglio dei ministri offra di nuovo le sue dimissione al presidente italiano Sergio Mattarella. Tutti si attendevano che Draghi salisse al Quirinale già mercoledi sera ma il presidente del Consiglio si è concesso una notte di riflessione. 

Vi sarebbe infatti la possibilità che Sergio Mattarella chieda a Draghi di formare un governo bis, con maggioranze diverse, magari proprio come ha chiesto la Lega: un governo senza il Movimento 5 stelle. Un’ipotesi comunque poco credibile. Il presidente del Consiglio Mario Draghi, con tutta probabilità invece, annuncerà giovedì nell’aula della Camera, all’inizio della discussione generale, la propria intenzione di andare a dimettersi al Quirinale.

Restano aperte diverse domande. Quando si voterà?(probabilmente il 2 ottobre). Sarà lo stesso Draghi a portare l’Italia verso il voto? 

L’esecutivo nato dopo la crisi del secondo governo Conte aveva come obiettivo principale quello della gestione delle tre emergenze italiane: pandemica, economica, sociale. Nacque così “un governo – disse all’epoca il capo dello Stato Sergio Mattarella – di alto profilo” che non doveva “identificarsi con alcuna formula politica”. Un Governo che doveva fare fronte “con tempestività alle gravi emergenze non rinviabili”.

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Una giornata difficile

La giornata difficile scivola verso la crisi verso le cinque del pomeriggio, quando il premier Mario Draghi – che al Senato ha chiesto alle forze politiche di ricostruire il patto di unità nazionale – pone la fiducia su una risoluzione di Pier Ferdinando Casini dal testo stringato: “Il senato, udite le comunicazioni del presidente del Consiglio dei ministri, le approva”.

Il centrodestra – come fanno trapelare Lega e Forza Italia – non la voterà, esprimendo così ostilità e delusione per i toni duri che il premier ha usato al mattino verso la Lega, che di risoluzione ne presenta una contrapposta: il M5s sia messo fuori dal perimetro della maggioranza con un nuovo governo e un nuovo programma. 

Nel gioco del cerino c’è chi ancora spera che alla fine Salvini e Berlusconi, per non trovarselo alla fine in mano, non sottrarranno il loro sostegno a Draghi, rimangiandosi la richiesta di discontinuità e restituendo a Conte e ai 5 Stelle la responsabilità della crisi.

Ma, nonostante il pressing del Pd per tenere uniti i pezzi del governo, senza la maggioranza ampia che ancora stamattina Draghi invocava, il premier non potrà fare altro che salire al Quirinale e dimettersi. 

Draghi: “Siete pronti a ricostruire il patto?”

In mattinata il premier Mario Draghi, in un discorso di circa mezzora, aveva tirato dritto ed illustrato un secco programma di governo chiudendo il suo intervento – quasi non applaudito dai banchi della Lega e del M5s – con questo invito: “siamo qui perché lo hanno chiesto gli italiani. Partiti, siete pronti a ricostruire questo patto?”.

L’intervento della Lega ha però ribaltato il tavolo e soprattutto rende strettissimi i margini di manovra del premier che a questo punto potrebbe anche seguire la via indicata da una vecchia volpe parlamentare come Pier Ferdinando Casini che, attraverso una sua secca mozione, lo invita semplicemente a farsi votare la fiducia. Forse un modo per far uscire allo scoperto chi potrebbe far cadere il governo.

Il premier aveva chiesto il consenso più ampio possibile del Parlamento perchè, aveva sottolineato, serve a maggior ragione per un “presidente del Consiglio che non si è mai presentato davanti agli elettori”. E l’unica strada per andare avanti, aveva aggiunto stamani, “è ricostruire daccapo questo patto, con coraggio, altruismo, credibilità”. Basta ambiguità, è in sostanza la richiesta del presidente del Consiglio.

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