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Regno Unito, è sfida tra Johnson e Hunt

Immagine divisa in due; sulla sx Hunt, sulla dx Johnson, entrambi ritratti davanti alla porta della residenza del premier UK
Hunt e Johnson ritratti davanti al numero 10 di Downing Street, residenza del premier britannico. Uno sembra uscirne, l'altro pare entrarci, ma non è detta l'ultima parola. Keystone / Matt Dunham, Frank Augstein

Saranno Boris Johnson e Jeremy Hunt a contendersi il posto di leader dei Conservatori britannici e futuro premier del Regno Unito: giovedì si è conclusa la fase preliminare della corsa per la successione a Theresa May. Nel quinto e ultimo scrutinio fra i 313 deputati Tory, Johnson ha ottenuto 160 voti, confermandosi primo, mentre Hunt si è issato a 77.

Il testa a testa è dunque tra gli ultimi due inquilini del Foreign Office: l’ex ministro degli esteri ed ex sindaco di Londra Boris Johnson, che è dall’inizio il grande favorito, e l’attuale titolare degli Esteri Jeremy Hunt, che lo sfiderà al ballottaggio finale di fronte a 160’000 iscritti al Partito. Eliminato invece Michael Gove, che giovedì ha raccolto 75 preferenze.

L’esito della votazione, effettuata per posta dalla prossima settimana, sarà noto dopo il 22 luglio.

Boris Johnson, 55 anni appena compiuti, è istrionico e popolare ma assai divisivo. Jeremy Hunt, 52enne ex uomo d’affari e ministro di lungo corso, si presenta con l’etichetta dello sfidante “serio” e per l’unità del Partito, più affidabile per provare a fermare -in caso di elezioni- i laburisti di Jeremy Corbyn.

Ritratto dei contendenti

Johnson promette di dare un’accelerata alla Brexit dopo lo stallo della stagione May e di fare uscire il Regno Unito dall’UE entro il 31 ottobre, preferibilmente con un nuovo accordo (che tuttavia Bruxelles non ha intenzione di negoziare) ma se necessario con un ‘no deal’, contro le indicazioni della Bank of England [vedi box].

Hunt è un sostenitore pentito del fronte che nel 2016 si batté perché il Regno rimanesse nell’Unione Europea. Ora è dunque a favore della Brexit, ma cercherà di rimontare lo sfidante con un atteggiamento più cauto, che non esclude delle (limitatissime nel tempo) proroghe ulteriori dell’uscita.

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In un’intervista rilasciata a margine della serata di gala annuale degli imprenditori britannici, il governatore della Banca d’Inghilterra Mark Carney ha avvertito che 150’000 aziende del Regno “non sono ancora preparate” ai contraccolpi e intoppi sull’import-export con l’Europa che un traumatico divorzio da Bruxelles senza accordo potrebbe comportare.

Il governatore ha inoltre notato come anche fra le imprese che hanno predisposto “piani di emergenza” al riguardo, molte lo abbiano fatto solo a corto termine. Carney ha infine affermato che un no deal significherebbe “automaticamente” l’introduzione perlomeno temporanea di alcuni “dazi” nell’interscambio con l’UE.

“Vogliamo un confronto civile”, si è detto da più parti venerdì. Ma c’è da scommettere che nelle prossime settimane si assisterà almeno al tentativo di qualche colpo a sorpresa.

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