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La jihadista pentita che la Svizzera non rivuole

Una donna col velo e un uomo, nascosti dal contrasto con lo sfondo, dove si intravede un campo di prigionia nel deserto
La jihadista pentita, intervistata da un giornalista della trasmissione svizzero tedesca '10 vor 10' RSI-SWI

Una giovane del canton Vaud, partita nel 2015 insieme al compagno per unirsi all'Isis e oggi detenuta dalle forze curde in Siria. Disillusa, vorrebbe tornare a casa, ma la Svizzera non intende riammetterla. L'ha intervistata la tv svizzero-tedesca SRF.

Selina non è l’unica, ad essere trattenuta dalle milizie curde che controllano il nord-est della Siria e hanno catturato centinaia di sostenitori dell’autoproclamato Stato islamico, tra i quali anche alcuni svizzeri.

Nel campo di detenzione ci sono altre 370 donne -gli uomini sono stati messi in carcere- e circa 700 bambini. Compresa la sua. Ed è da quando è diventata mamma, un anno fa, che Selina (nome fittizio) vorrebbe tornare a Losanna. Ma non può più.

“Sono solo un’ingenua”

“Sono stata semplicemente stupida”, dice. “L’Isis ti invita a vivere da musulmano libero, promettendoti una casa e un reddito. Allora ci siamo detti: partiamo. Non per combattere, ma per vivere da musulmani liberi”.

Com’è possibile? Nel 2015, l’Isis era già ben nota come organizzazione terroristica. Tanto che, sulla coppia, il Ministero pubblico della Confederazione aveva aperto un incarto.

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“È naif, lo so. Sapevo che è considerata un’organizzazione terroristica ma noi non la chiamiamo così”. La donna sostiene peraltro di non averne mai voluto aderire “al loro sistema” e che il marito è stato perseguitato poiché non voleva combattere.

Affermazioni difficili da verificare. Documenti trovati dall’esercito iracheno a Mossul indicano che l’uomo si è arruolato in un’unità di 300 combattenti, che avrebbe lasciato per problemi di salute.

I curdi: non possiamo tenere tutti

Sono le stesse autorità curde, a invitare gli altri paesi a riammettere i combattenti catturati e imprigionati, con le loro famiglie. Dopo il loro contributo nella guerra all’Isis, vorrebbero ora un aiuto dalla comunità internazionale.

“In Svizzera non ho mai causato problemi, ero una cittadina normale, pagavo tutte le fatture”, sottolinea intanto Selina, che chiede una seconda possibilità anche per poter curare la figlia malata. Ma l’errore commesso tre anni fa appare oggi irreversibile.

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