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I cento giorni del presidente-sceriffo Duterte

Fanno discutere i metodi violenti del leader filippino nella lotta alla criminalità ma ampi strati della popolazione sono dalla sua parte

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Sono trascorsi cento giorni da quando Rodrigo Duterte è salito al potere nelle Filippine promettendo di eliminare fisicamente 100’000 criminali. Una parola che il presidente sta mantenendo, dato che nella sua spietata guerra contro il narcotraffico sono già state uccise più di 3’000 persone. E i sondaggi sembrano premiarlo dal momento che risulta essere il capo di Stato più popolare della storia del paese asiatico.

Ma i suoi metodi feroci, uniti alle minacce e agli insulti rivolti ai leader mondiali – tra cui Obama – sollevano voci critiche sempre più insistenti. La Chiesa fa appello allo spirito della giustizia e la comunità internazionale è scettica. Inoltre Duterte intende rimettere in discussione l’alleanza storica con gli Stati Uniti.

Ma intanto ogni notte spariscono persone, soprattutto nei quartieri più poveri dove è palpabile la paura, e le esecuzioni extragiudiziali da parte della polizia o di agenti privati sono all’ordine del giorno. Ma ampi strati della classe media, pur non approvandone forse i metodi, sembrano sostenere l’azione del presidente.

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