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Immigrati e lavoro, la SECO: “non c’è sostituzione”

La libera circolazione delle persone tra Svizzera e Ue, entrata in vigore nel 2002, non ha avuto un impatto uniforme su evoluzione demografica e mercato del lavoro nelle diverse regioni del Paese. In quelle di frontiera, gli effetti dell'apertura sono stati maggiori. Tuttavia, secondo un rapporto pubblicato martedì della Segreteria di Stato dell’economia (SECO), la forte immigrazione non ha provocato la sostituzione della manodopera indigena né il dumping salariale.

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Quindici anni di libera circolazione, rileva la SECOCollegamento esterno, hanno avuto senz’altro un importante effetto sull’evoluzione demografica in Svizzera. Dal 2002, sono immigrati in media nel Paese 65’500 individui l’anno, due terzi dei quali dall’Unione europea.

Tassi superiori alla media si sono registrati nei grandi centri economici -come Ginevra, Vaud, Basilea, Zugo e Zurigo- ma anche nei cantoni a forte vocazione turistica come il Vallese, i Grigioni e il Ticino. In Ticino gli immigrati dai paesi Ue rappresentano il 18,1% della forza lavoro.

Immigrazione: forza lavoro che mancava

La SECO spiega la forte immigrazione in Svizzera con un’evoluzione positiva dell’economia svizzera, che ha bisogno di manodopera proveniente dallo spazio europeo, in particolare di lavoratori qualificati.

A tal proposito, la responsabile della SECO Gabrielle Ineichen-Fleisch ha detto che la Svizzera può vantare “15 anni di crescita robusta”, e stando al direttore della sezione del lavoro Boris Zürcher il PIL è cresciuto più velocemente della popolazione. I salari sono saliti del 12% in termini reali.

Stando al rapportoCollegamento esterno, senza libera circolazione si sarebbe verificata una penuria di forza lavoro in alcuni rami economici, dove la forza lavoro straniera ben qualificata si assesta al 16%, a fronte del 12% se si considerano le altre professioni.

Dai dati raccolti, risulta che gli imprenditori residenti in Svizzera si sono rivolti al mercato Ue anche per reclutare personale poco qualificato. Tendenzialmente, i lavoratori indigeni hanno abbandonato questi rami per lasciarli ai nuovi venuti e dedicarsi ad altro.

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Frontalieri: importanti per la crescita

In Ticino e a Ginevra si è assistito a una sensibile progressione dei frontalieri tra il 2002 e il 2016. L’anno scorso, il Ticino ne accoglieva 64’300 (corrispondenti al 28% delle persone attive nel cantone e al 20% sul totale dei frontalieri in Svizzera) mentre a Ginevra ne lavoravano 86’300 (25% degli impiegati, 27% sul totale svizzero).

Il Ticino è inoltre in testa alla classifica per il numero di persone sottoposte all’obbligo di notifica, come lavoratori distaccati e padroncini: costituiscono l’1,2% dell’impiego.

Sia a sud delle Alpi, sia nella regione francofona del lago Lemano, la progressione dei frontalieri è per buona parte responsabile della crescita dell’impiego (quasi due terzi in Ticino, 40% nell’arco lemanico). Nelle stesse regioni, però, pure la disoccupazione è risultata superiore alla media.

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Non c’è sostituzione, almeno nel complesso

Per quanto l’elevata immigrazione sia da anni al centro di controversie politiche in relazione alla disoccupazione, secondo la SECO il tasso di occupazione è cresciuto tra il 2002 e il 2017 sia tra gli svizzeri sia tra gli immigrati. Per questi ultimi, il pericolo di disoccupazione appare anzi più elevato rispetto ai residenti.

Non si può tuttavia escludere, precisa la SECO, che su alcuni mercati la concorrenza sia aumentata in ragione della forte immigrazione e che alcuni gruppi di popolazione abbiano meno possibilità di trovare un impiego.

Pressione sui salari: contenuta

Negli ultimi quindici anni, i salari reali sono saliti in media dello 0,8% l’anno. Le misure di accompagnamento alla libera circolazione si sono dimostrate efficaci per i bassi salari, mentre una limitata pressione verso il basso -in relazione all’immigrazione- è stata notata tra il personale altamente qualificato.

Tenendo conto della sola popolazione indigena (svizzeri o con permesso di soggiorno a tempo indeterminato), in Ticino la progressione annuale media dei salari è stata dell’1,3%, giudicata “solida” dalla SECO.

Considerando tutte le categorie di soggiorno, invece, risulta che nelle regioni con un tasso importante di frontalieri o di immigrazione si registra una crescita salariale leggermente più bassa rispetto ai cantoni della Svizzera centrale (tra il 2002 e il 2014, in media, l’1% in Ticino e a Zurigo contro l’1,5% delle regioni interne). 

Il documento della SECO mette però in evidenza come i salari dei frontalieri siano in media inferiori di quelli dei residenti, e questo eserciti “una certa pressione”. Lo scarto maggiore è in Ticino: -25,6%.

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