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L’industria bellica svizzera rischia di fare cilecca? 

militari in tuta mimetica emergono da un carro armato
La Svizzera è uno dei tanti Paesi che stanno rafforzando il proprio budget per la difesa. KEYSTONE/© KEYSTONE / ENNIO LEANZA

Le vendite globali di materiale bellico prodotto in Svizzera sono calate del 27% lo scorso anno, nonostante la guerra che imperversa in Europa e l'impegno di molti Paesi ad aumentare le spese per la difesa. Perché le vendite dei produttori di armi svizzeri sono in calo proprio quando la domanda è in crescita? 

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Le lobby dell’industria bellica stanno suonando il campanello d’allarme. Sostengono che la rigida applicazione della neutralità da parte della Svizzera sta danneggiando seriamente le prospettive economiche delle aziende. 

La Svizzera chiede ai Paesi di non riesportare in Ucraina armamenti di fabbricazione svizzera. L’azienda tedesca Rheinmetall ha risposto spostando la produzione di munizioni dalla Svizzera alla Germania. 

“Alcune aziende hanno perso ordini a causa delle preoccupazioni per le normative elvetiche, mentre altre stanno pensando di investire meno qui in futuro e persino di delocalizzare dalla Svizzera”, ha dichiarato a SWI swissinfo.ch un portavoce del gruppo industriale manifatturiero Swissmem. 

Altri sviluppi

“I Paesi Bassi e la Danimarca hanno deciso di non importare più prodotti bellici dalla Svizzera a causa delle restrizioni sulle ulteriori esportazioni. Anche le relazioni con altri Stati sono state messe a dura prova perché questi ultimi non riescono a comprendere la posizione della Svizzera”. 

Politica feroce 

Tuttavia, associazioni a favore dell’abolizione dell’esercito come il Gruppo per una Svizzera senza esercito (GSsE) accusano l’industria bellica di gridare al lupo per ottenere condizioni più liberali per il mercato delle armi, che attualmente è severamente regolamentato. L’anno scorso, il Parlamento ha votato per allentare le restrizioni all’esportazione di materiale bellico in casi eccezionali, se gli accordi sono ritenuti utili ai fini della politica estera o di sicurezza della Svizzera. 

+ La Svizzera è ferma sul divieto di riesportazione di materiale bellico

La politica sta discutendo animatamente un’altra concessione per l’industria degli armamenti. La proposta è di consentire ai Paesi con principi simili a quelli della Confederazione di riesportare armi di fabbricazione elvetica nelle zone di guerra. 

“È preoccupante la rapidità con cui la politica reagisce quando la lobby delle armi si lamenta”, ha dichiarato il segretario del GSsE Jonas Heeb in un comunicato stampa. “Questo antepone i profitti alle vite umane”. 

Il materiale bellico rappresenta solo lo 0,18% di tutte le esportazioni svizzere. Le vendite sono scese dal record di 955 milioni di franchi nel 2022 a 696,8 milioni lo scorso anno, secondo la Segreteria di Stato dell’economia (SECO). 

La SECO ha però anche sottolineato che il 2022 è stato caratterizzato da ordini insolitamente importanti da parte del Qatar, che ospitava la Coppa del Mondo di calcio, e della Danimarca. 

Nonostante alcuni picchi e cali nei singoli anni, le vendite di materiale bellico svizzero sono aumentate costantemente rispetto ai 214 milioni di franchi registrati nel 2000 (vedi grafico). 

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L’anno scorso, inoltre, la SECO ha rilasciato nuove autorizzazioni per operazioni di compravendita di armi per un valore di 1,03 miliardi di franchi svizzeri, quasi 100 milioni in più rispetto al 2022. Il valore di queste autorizzazioni viene convertito in vendite per l’esportazione solo una volta che le operazioni sono state completate, cosa che di solito avviene negli anni successivi. 

Questo ha portato il quotidiano Blick a dichiarare che “le prospettive per l’industria svizzera delle armi non sembrano più così cupe”. I nuovi permessi sono un “chiaro segnale che le cifre delle esportazioni potrebbero tornare a salire”. 

Philippe Zahno, portavoce delle Gruppo romando per il materiale di difesa, non è d’accordo con questa valutazione. 

“Alcuni altri Paesi non si fidano più del fatto che la Svizzera voglia fornire materiale bellico o addirittura che le nostre aziende siano in grado di effettuare consegne in futuro”, ha dichiarato a SWI swissinfo.ch “Stanno iniziando a cercare altrove i loro fornitori. La situazione è tutt’altro che ideale”. 

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Zahno teme che i produttori di armamenti lascino la Confederazione se la neutralità ostacola la loro capacità di vendere a livello globale. 

La SECO ha rifiutato di esprimersi sulle prospettive future dell’industria bellica. Pur sapendo che alcuni Paesi stanno voltando le spalle alle aziende svizzere, i funzionari e le funzionarie hanno sottolineato che l’impatto sulle vendite sarà noto solo nei prossimi anni. 

Secondo uno studio degli economisti e delle economiste dell’istituto di ricerca BAK di Basilea, nel 2021 l’industria elvetica della difesa ha contribuito all’economia del Paese per circa 2,3 miliardi di franchi. 

L’industria genera più di 14’000 posti di lavoro e contribuisce con 145 milioni di franchi svizzeri in termini di gettito fiscale. 

Swissmem ha calcolato che ci sono 120 aziende direttamente coinvolte nella produzione di armi, munizioni, veicoli militari e altre attrezzature. Esse sono supportate da circa 3’000 fornitori in Svizzera. 

Secondo la SECO, nel 2023 le aziende elvetiche hanno esportato materiale bellico in 58 Stati. 

Alcune delle più grandi società svizzere del settore della difesa sono ora in mani straniere. 

Ad esempio, la Mowag, che produce veicoli militari, è stata acquistata dalla statunitense General Dynamics nel 2003. Il produttore di cannoni antiaerei Oerlikon-Contraves è stato rilevato dall’azienda tedesca Rheinmetall nel 1999 e successivamente ribattezzato Rheinmettall Air Defence. 

L’azienda statale Ruag ha ceduto costantemente le sue unità di armamento per concentrarsi sull’industria spaziale. Le vendite a clienti del settore militare hanno rappresentato il 4% di tutte le vendite nette nel 2023, rispetto al 13% del 2022. 

Articolo a cura di Reto Gysi/sb

Traduzione di Marija Milanovic

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