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Simboli religiosi autorizzati nei legislativi a Ginevra

Due donne con velo davanti al Tribunale federale
Due esponenti del Consiglio centrale islamico svizzero davanti al Tribunale federale a Losanna. Keystone / Christian Brun

Marcia indietro (parziale) a Ginevra in materia di simboli religiosi: la Camera costituzionale ha infatti accolto parte dei sei ricorsi presentati contro la legge sulla laicità dello Stato approvata lo scorso febbraio in votazione popolare, consentendo ai membri degli organi legislativi di indossare indumenti o ornamenti propri della loro fede religiosa.


Il divieto resta invece per i rappresentanti del governo cantonale e per i funzionari pubblici (agenti, insegnanti, dipendenti cantonali e comunali) per i quali vige il vincolo della neutralità religiosa nell’esercizio delle loro funzioni (in particolare per i dipendenti a contatto con il pubblico).

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In proposito la corte ha spiegato che gli eletti in Gran Consiglio o negli organi legislativi comunali sono dei parlamentari di milizia e non sono quindi destinati a rappresentare lo Stato bensì la società e il suo pluralismo, che essi incarnano.

In secondo luogo, hanno specificato i giudici, imporre una totale neutralità confessionale agli organi legislativi minerebbe anche il principio democratico secondo il quale i Cantoni devono avere un parlamento eletto a suffragio universale, che dovrebbe rappresentare le diverse correnti di opinione, anche religiose.

In questo senso il divieto introdotto dalla legge sulla laicitàCollegamento esterno, indica sempre la Camera costituzionale, finirebbe per creare un’incompatibilità confessionale, impedendo alle persone che manifestano la loro appartenenza religiosa di ottenere un mandato elettivo mentre “la laicità non si presenta più come una condizione d’accesso a queste funzioni”.

Fin dalla sua approvazioneCollegamento esterno la contestata legge è stata criticata da un fronte variegato, composto da Verdi, estrema sinistra (SolidaritéS), Unione delle organizzazioni musulmane, Rete evangelica, giuristi progressisti che si sono coalizzati in un coordinamento che sta valutando di ricorrere al Tribunale federale contro la decisione cantonale.

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