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Migrazione, la Svizzera importa manodopera, ma non le persone?  

letto in una baracca di lavoratori stagionali
Sebbene il concetto di migrazione circolare sia relativamente nuovo nella terminologia, ha radici storiche profonde KEYSTONE

I programmi di migrazione circolare sono un modo per colmare le carenze di manodopera e promuovere l'immigrazione a breve termine. Etienne Piguet, esperto di migrazione, discute i rischi, le sfide e le opportunità di questi programmi per la Svizzera.

Il 19 gennaio, la Svizzera e la Tunisia hanno deciso di rafforzare il loro partenariato in materia di migrazione, avviato nel 2012, e hanno sottoscritto un progetto denominato “Perspectives”, che si propone ufficialmente di “stimolare una migrazione circolare qualificata tra la Tunisia e la Svizzera”. La migrazione circolare mira ad attirare l’immigrazione a breve termine soprattutto sotto forma di manodopera. In questo caso, la Svizzera e la Tunisia intendono promuovere degli stage in entrambi i Paesi. 

Si basa sull’Accordo per lo scambio di giovani professionisti e professioniste del 2014, che dal 2015 ha permesso a circa 174 giovani tunisini/e d’intraprendere una formazione avanzataCollegamento esterno grazie a uno stage o a un primo impiego in Svizzera; finora solo un cittadino svizzero ha beneficiato dello scambio. La Confederazione ha firmato altri 13 accordi simili di scambio di tirocinanti con Paesi terzi. 

SWI swissinfo.ch ha parlato con Etienne Piguet, professore di geografia della mobilità, per capire meglio la definizione, le sfide e gli impatti delle politiche di migrazione circolare.  

Etienne Piguet, professore di geografia della mobilità
Etienne Piguet, professore di geografia della mobilità. KEYSTONE

SWI swissinfo.ch: Che cos’è la migrazione circolare? E quali sono le caratteristiche principali che la distinguono da altre forme di migrazione?   

Etienne Piguet: La migrazione circolare si riferisce al movimento di persone tra i Paesi di origine e di destinazione, non per stabilirsi in modo permanente, ma per periodi che vanno da poche settimane a meno di un anno. In Svizzera si tratta tipicamente di permessi L e non di permessi B o C, che consentono un insediamento più permanente.  

Si tratta spesso di lavoratori e lavoratrici stagionali o di persone che si spostano per un’occupazione a breve termine. Si differenziano dai turisti in quanto la durata del soggiorno è più lunga – in genere superiore a tre mesi ma inferiore a un anno. Gli studenti e le studentesse rappresentano una categoria intermedia perché si fermano solo per la durata dei loro studi, che però possono durare diversi anni.

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La caratteristica fondamentale della migrazione circolare è l’idea del ritorno, che la distingue da altre forme di migrazione. Secondo una definizione più restrittiva, la migrazione circolare implica che i e le migranti non si fermino solo per un breve periodo, ma tornino più volte, come ad esempio i lavoratori e le lavoratrici stagionali.

Lei direbbe che la migrazione circolare è un fenomeno relativamente nuovo nel panorama politico svizzero e dell’Unione europea, oppure ha radici storiche più profonde? 

Sì, il concetto di migrazione circolare, pur essendo relativamente nuovo nella terminologia, ha radici storiche profonde. Comprende modelli migratori osservati in passato, come la migrazione stagionale dei lavoratori e delle lavoratrici in Svizzera negli anni Sessanta e migrazioni ancora più antiche, risalenti al XVIII e XIX secolo. Tra queste anche l’emigrazione temporanea dalla Confederazione verso altri Paesi europei.  È il caso, ad esempio, di giovani svizzeri di origine contadina – soprattutto donne – che trascorrevano un periodo di tempo a svolgere lavori domestici presso famiglie più ricche al di là del confine francese.

Il concetto di migrazione circolare è entrato nell’UE grazie agli sforzi politici internazionali volti a massimizzare gli effetti positivi della migrazione sullo sviluppo. A livello europeo, è stato visto come uno strumento per gestire le politiche migratorie, attraverso strumenti legali e programmi e progetti istituzionali bilaterali e multilaterali.

La migrazione circolare è diventata uno degli strumenti della Direzione generale della migrazione e degli affari interni, che fa parte della Commissione europea, per limitare l’immigrazione. Faceva parte dell’approccio alla migrazione incentrato sulla sicurezza, con un’enfasi sul rimpatrio e la riammissione piuttosto che sulla facilitazione della migrazione legale.

Dal 2001, l’UE ha compiuto sforzi per promuovere questo tipo di migrazione. Tuttavia, a distanza di quasi 20 anni, è ancora difficile individuare una politica chiara e coesa che delinei l’approccio dell’UE alla migrazione circolare.

Fonte: Vankova, Z. (2020). The Formulation of the EU’s Approach to Circular Migration. (Circular Migration and the Rights of Migrant Workers in Central and Eastern Europe. IMISCOE Research Series. Springer, Cham.)Collegamento esterno

I programmi di migrazione circolare, come Perspectives, sono stati definiti “triple-win” (“tripla vittoria”). In questo caso, si tratterebbe di una vittoria per la Svizzera, la Tunisia e le persone migranti. Quanto è valida questa affermazione?  

 Questo concetto è effettivamente al centro del dibattito sulla migrazione circolare. L’idea di conseguire uno scenario di tripla vittoria è un obiettivo entusiasmante, ma impegnativo. È difficile, soprattutto quando uno degli attori, il/la migrante, non ha completa libertà di scelta [di movimento]. Tuttavia, sono convinto che valga la pena tentare d’istituire tali programmi. Se non altro è meglio che chiudere semplicemente le frontiere.

Alcuni studiosi e studiose sottolineano che le persone che non possono avere un permesso a lungo termine non hanno libertà di movimento. Tuttavia, in una certa misura, i Paesi di destinazione che attuano tali politiche sono vincolati anche da altre forze, come quelle ostili all’immigrazione permanente.

Il termine “migrazione circolare” è stato utilizzato per la migrazione internazionale solo a partire dai primi anni 2000. Chi sostiene questa idea afferma che essa va a vantaggio dei Paesi di destinazione, dei Paesi di origine e dei/delle migranti stessi/e: una “tripla vittoria”.

Fonte: Circular Migration: Triple Win, or a New Label for Temporary Migration?Collegamento esterno 2014.

Gli studiosi e le studiose sostengono che i programmi di migrazione circolare riflettono il desiderio dei Paesi di destinazione d’importare lavoro, ma non lavoratori e lavoratrici. È d’accordo con questa valutazione? 

In larga misura sì, soprattutto per quanto riguarda i programmi per lavoratori e lavoratrici stranieri del passato. Tuttavia, è essenziale distinguere tra i singoli casi, come quando le persone vengono in Svizzera con permessi di lavoro di breve durata dall’Unione europea, che potrebbero non riflettere una discrepanza tra la politica elvetica e i desideri personali. Questi migranti hanno, in una certa misura, la possibilità di scegliere se muoversi o meno, visto l’accordo di libera circolazione tra la Svizzera e l’UE.  

Lavoratori stagionali italiani bevono birra nel tempo libero nel soggiorno della loro baracca e guardano la televisione ad Adliswil, nel canton Zurigo, nel 1972.
Lavoratori stagionali italiani bevono birra nel tempo libero nel soggiorno della loro baracca e guardano la televisione ad Adliswil, nel canton Zurigo, nel 1972. KEYSTONE

Tuttavia, è vero che quando viene attuato un programma di migrazione circolare, allora sono d’accordo sul fatto che probabilmente si tratta di un compromesso tra lo Stato d’immigrazione e il Paese di emigrazione per accettare le persone migranti con permessi a breve termine senza affrontare gli effetti della migrazione a lungo termine.  Il caso degli stage è diverso perché si cerca di ottenere una situazione win-win-win: l’obiettivo è che alcune competenze possano essere riportate nel Paese di origine.

Riflettendo sul suo libro Immigrazione in Svizzera: 60 anni di semiapertura, descriverebbe la migrazione circolare come una “politica di semiapertura”?  

Sicuramente. La Svizzera ha storicamente dichiarato di non volere l’immigrazione a lungo termine, ma di accettare quella temporanea, rendendo la migrazione circolare una forma di apertura controllata o ” semiapertura”. 

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È essenziale definire chiaramente i diritti e i doveri di tutte le parti interessate per garantire il successo dei programmi di migrazione circolare. Quali misure dovrebbero essere attuate per proteggere i e le migranti e avere un impatto positivo sia sui Paesi di origine che su quelli di destinazione?  

 Recenti ricerche accademiche suggeriscono che tutti hanno da guadagnare da un maggior numero di negoziati che coinvolgano il Paese di origine, il Paese di immigrazione e i sindacati che rappresentano i e le migranti, con l’obiettivo di ottenere condizioni eque per tutte le parti. Tuttavia, l’attuazione di tali negoziati equilibrati rimane impegnativa. 

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Ciò sottolinea l’importanza di avere una rappresentanza specifica per le lavoratrici e i lavoratori migranti circolari.   È ipotizzabile che il Governo tunisino possa vigilare attivamente sul benessere dei suoi migranti per evitare abusi o maltrattamenti. Ciò potrebbe significare la presenza di sindacati tunisini o di entità simili, come le ONG, e possibilmente di organizzazioni internazionali per garantire un approccio globale alla salvaguardia dei diritti e del benessere dei e delle migranti.

Si può parlare di un equilibrio di potere negli accordi tra Paesi come la Svizzera e la Tunisia?  

L’equilibrio di potere nei negoziati è complesso e non si basa solo sulla disparità economica.  

Affinché gli accordi siano veramente reciproci, devono essere in linea con gli interessi reciproci degli Stati coinvolti, adattandosi al contempo alle mutevoli dinamiche delle esigenze del mercato del lavoro e delle politiche migratorie.  

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Il panorama è cambiato in modo significativo dagli anni Sessanta. Allora i vantaggi reciproci erano più semplici. L’Italia traeva vantaggio dall’invio di lavoratori all’estero e la Svizzera aveva bisogno di quei lavoratori per la sua crescita economica. Oggi, accordi come quelli con la Tunisia si basano su una rete d’interessi più intricata. Questi includono le richieste del mercato del lavoro e l’aspettativa della Confederazione che la Tunisia possa acconsentire più rapidamente al rimpatrio di persone a cui è stata negata la richiesta di asilo, introducendo un ulteriore livello di complessità in questi negoziati.  

Migrante a lungo termine:  “Una persona che si trasferisce in un Paese diverso da quello di residenza abituale per un periodo di almeno un anno (12 mesi), in modo che lo Stato di destinazione diventi effettivamente il suo nuovo Stato di residenza. Dal punto di vista del Paese di partenza, la persona sarà un/a emigrante a lungo termine e da quello del Paese di arrivo sarà un/a immigrato/a a lungo termine”. 

Migrante a breve termine: “Una persona che si trasferisce in un Paese diverso da quello di residenza abituale per un periodo di almeno 3 mesi, ma inferiore a un anno, tranne nei casi in cui lo spostamento in tale Stato avvenga per motivi di svago, vacanza, visita ad amici o parenti, affari, cure mediche o pellegrinaggio religioso”.   

Migranti di ritorno: “Persone che ritornano nel proprio Paese di origine dopo essere state migranti internazionali (a breve o lungo termine) e che intendono rimanervi per almeno un anno”. 

Fonte: Commissione economica per l’Europa delle Nazioni Unite (UNECE)

A cura di Virginie Mangin

Traduzione di Marija Milanovic. Revisione di Sara Ibrahim

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