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Suicidi, è il momento di rompere il tabù

Candele accese sul parapetto di un ponte di Berna da dove qualcuno si è gettato nel vuoto.
I numeri ci dicono che in Svizzera, ogni giorno due o tre persone si tolgono la vita (esclusi i casi di suicidio assistito). Keystone

Ci sono storie che sfuggono alla narrazione collettiva e che trovano spazio solo nei racconti privati tra le mura di casa, nei corridoi delle scuole o negli scambi tra amici. Fatti che - salvo rare eccezioni - sono esclusi dalle pagine della cronaca in virtù di un tacito accordo che la società si è data. Sono quelli relativi ai casi di suicidio.

Il tema da un punto di vista mediatico è considerato un tabù da quando si è compreso il potenziale impatto emulativo che una notizia di questo tipo può avere. È il cosiddetto “effetto Werther”, dal nome del protagonista del romanzo di Goethe, la cui pubblicazione alla fine del 1700 innescò una serie di suicidi tra i giovani.

Un adolescente su 11, nella fascia di età 11-19 anni, ha tentato almeno una volta di togliersi la vita.

Unicef

Come per molti fenomeni che rimangono sottotraccia, per avere una misura occorre fare affidamento sulle statistiche. I numeri ci dicono che in Svizzera, ogni giorno due o tre persone si tolgono la vita (esclusi i casi di suicidio assistito). In Ticino, nel 2020 i casi sono stati una trentina, mentre nella Svizzera interna l’incidenza è più alta. Ma oltre queste cifre, si sa ben poco. Secondo una recente ricerca commissionata dall’UNICEF, un adolescente su 11, nella fascia di età 11-19 anni, ha tentato almeno una volta di togliersi la vita.

Una narrazione responsabile

Si tratta di numeri che portano a domandarsi se abbia ancora senso trattare il tema come un tabù, soprattutto nella società di oggi, dove la gran parte delle informazioni viene fruita senza filtri attraverso internet e i social network. Un documento dell’Organizzazione mondiale della sanità dedicato alla prevenzione del suicidio e al ruolo dei media afferma che, se da un lato esiste una lunga letteratura sugli effetti negativi della diffusione di notizie di questo tipo, dall’altro, studi più recenti hanno mostrato il possibile impatto positivo di una narrazione “responsabile” del suicidio.

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“Le raccomandazioni dicono di non usare toni sensazionalistici, di non fornire dettagli che possono facilmente essere anche copiati, di riportare la complessità ed evitare sempre di semplificare le cause che hanno portato a quel gesto”, spiega Anne-Linda Camerini, docente ed esperta di comunicazione sanitaria all’Università della Svizzera italiana. Accanto a un “effetto Werther”, esiste anche un “effetto Papageno” (dall’opera “Il flauto magico”, dove il personaggio di Papageno alla fine viene aiutato a trovare una strada alternativa a quella del suicidio).

Giovani “condannati all’immediatezza”

“Il non parlarne ci impedisce di riflettere su quelle che sono le motivazioni che potrebbero condurre una o un giovane a considerare questo tipo di soluzione. Sappiamo che i ragazzi che decidono di tentare o di adottare un gesto estremo non lo fanno per puro caso: non è mai una decisione improvvisa. E tutto ciò comporta una riflessione da parte nostra sul contesto in cui sono inseriti”, osserva Ilario Lodi, direttore di Pro Juventute della Svizzera italiana.

Negli ultimi due-tre anni abbiamo avuto un aumento delle casistiche del 10-20%

Sara Fumagalli, psichiatra

“I giovani di oggi forzatamente condannati all’immediatezza, sono fagocitati dalla necessità di essere costantemente all’erta. E questo implica anche il fatto di non riflettere più profondamente sulle proprie personali necessità, essendo costretti a dover stare sempre a giorno di quel che succede”, spiega Lodi. “Non sorprende quindi pensare che alcuni di questi ragazzi non riescano a sostenere questi ritmi che non sono stati loro a desiderare. Un caso di tentato suicidio giovanile, dunque, deve interrogare soprattutto noi adulti sul loro contesto di vita”, aggiunge.

Un fenomeno in aumento

La dottoressa Sara Fumagalli, direttrice sanitaria della clinica Santa Croce di Orselina sopra Locarno, spiega di aver osservato in prima persona una crescita dei casi di tentato suicidio o gesti autolesionistici e pericolosi tra i giovani. “Negli ultimi due-tre anni abbiamo avuto un aumento delle casistiche del 10-20%”, spiega la psichiatra, sottolineando come tra i ricoveri una percentuale significativa (15-20%) sia rappresentata da pazienti under-30. “Bisogna tenere presente che viviamo in una società in cui non parlare di suicidio è impossibile, perché esiste un mondo virtuale, che gli stessi ragazzi mi hanno fatto scoprire, dove questi temi vengono purtroppo approfonditi ed è impensabile tenerli sotto controllo”.

“Il parlarne, è stato dimostrato, è prevenzione. Bisogna farlo in modo adeguato e a 360°: non solo tra specialisti, perché altrimenti si rischia di psichiatrizzare il fenomeno. – conclude Fumagalli – Tutta la popolazione dovrebbe andare insieme come una squadra nella direzione di affrontare la sofferenza esistenziale delle giovani generazioni con serenità e conoscenza”.

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