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Il QE in salsa europea è servito

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Le vie dell'Economia con Lavoce.info

Draghi ce l’ha fatta: ha servito il Qe al tavolo del Consiglio Bce. Ha dovuto condirlo in salsa europea per farlo mangiare anche ai tedeschi (lo digeriranno?), ma va bene così. Adesso bisogna che le altre politiche non remino contro, a cominciare dalla vigilanza bancaria della Bce stessa.

Numerose sono le aspettative e gli interrogativi che si sono accumulati durante l’attesa per la conferenza stampa di Mario Draghi del 22 gennaio, e che hanno fatto di questa una data storica per la Bce e per l’euro. Comunque si giudichino le modalità tecniche con cui è stato introdotto il Quantitative easing nella zona euro, rimane il fatto che è stato superato un tabù: la Bce ha avviato un massiccio programma di acquisto di titoli di stato, cosa data per assai improbabile solo pochi mesi fa. Questo dimostra che l’Europa è in grado di fare significativi passi avanti, quando le sue politiche sono affidate a una istituzione sovranazionale, le cui decisioni sono sottratte alla contrattazione tra i governi, che perseguono l’interesse nazionale, e al potere di veto del paese più forte.

DIMENSIONI E TEMPI

Le dimensioni del piano di acquisti sono senz’altro l’aspetto più positivo. Non solo perché la cifra complessiva (1140 miliardi, distribuiti sul periodo marzo 2015 – settembre 2016) è superiore alle aspettative del mercato, ma soprattutto perché la Bce si è presa l’impegno a proseguire il piano di acquisti fino a quando il tasso di inflazione nella zona euro non sarà tornato su una traiettoria coerente con il raggiungimento dell’obiettivo del 2 per cento. Draghi è riuscito quindi a fare passare la sua linea: si farà tutto il necessario (il whatever it takes” del famoso discorso di Londra) per preservare la zona euro dalla deflazione e da scenari che potrebbero portare a un break-up. Questo non vuol dire che ciò sia sufficiente (“that will be enoughnello stesso discorso), ma almeno nessuno potrà dire che la Bce non ha fatto la sua parte. Il fatto che la dimensione e i tempi del piano siano potenzialmente illimitati è un elemento importante per condizionare le aspettative: questo è l’elemento distintivo che ha permesso al piano OMT di essere molto più efficace, rispetto al precedente SMP, nel ridurre drasticamente gli spread tra un paese e l’altro sui titoli di stato.

QUALI TITOLI VERRANNO ACQUISTATI

La cifra complessiva di 1140 miliardi comprende non solo gli acquisti di titoli di stato (che comunque saranno la parte più consistente del programma), ma anche di istituzioni sovranazionali europee (quali Bei e ESM), di Covered bonds bancari e di Asset backed securities (Abs). La ripartizione per paese degli acquisti rifletterà le quote detenute da ciascun paese della zona euro nel capitale della Bce: per l’Italia, il 17,5 per cento. Vi è da dire che l’esatta ripartizione degli acquisti paese per paese è meno rilevante di quanto si potrebbe pensare: la finalità del piano non è infatti la riduzione degli spread sul debito pubblico dei diversi paesi (per questo c’è l’Omt), ma quella di fare ripartire la domanda aggregata e il reddito nominale della zona euro nel suo insieme.

ATTRIBUZIONE DEL RISCHIO

Il rischio di una eventuale insolvenza degli emittenti dei titoli che verranno acquistati sarà in larga parte sopportato dalle singole banche centrali nazionali (per l’80 per cento della dimensione complessiva del piano). Questo è stato il prezzo “politico” che Draghi ha dovuto pagare per raggiungere il consenso nel Consiglio direttivo della Bce, anche se non è detto che basti a placare l’opinione pubblica tedesca. La mancanza di una condivisione del rischio non è necessariamente un problema per l’efficacia del piano, che invece dipende da altri fattori. Tuttavia, in una prospettiva più ampia, essa rappresenta un segnale negativo per coloro che si attendono che la zona euro faccia primo o poi un passo nella direzione di una maggiore condivisione dei rischi. Ma è anche vero che forse questa non era la strada giusta: sarebbe stato come fare entrare dalla finestra ciò che non può entrare dalla porta. Fuori metafora: la condivisione dei rischi non può che essere il risultato di un maggiore accentramento nella gestione della politica fiscale, e non può essere surrettiziamente introdotta con una misura di politica monetaria. In altre parole, la scelta di ieri mette ancora una volta in evidenza la contraddizione di fondo della zona euro: politica monetaria unica e politiche fiscali separate.

FUNZIONERÀ?

Come si è detto, la finalità del piano è quella di combattere la prospettiva della deflazione nella zona euro, fornendo un sostegno alla domanda aggregata di beni e servizi. In un precedente articoloCollegamento esterno, ho illustrato i canali di trasmissione del Qe all’economia reale. Di essi, uno sta già “lavorando”: quello legato alla svalutazione del cambio, che è cominciata da tempo, man mano che l’aspettativa di una introduzione del Qe nella zona euro diventava sempre più forte. Ma solo con il passare del tempo potremo valutare se questo passaggio cruciale della politica monetaria europea sarà veramente efficace. Va da sé che l’efficacia sarà maggiore se questa manovra sarà accompagnata da una politica fiscale espansiva: ma qui sono i governi che devono fare la loro parte. Per la verità, bisogna che anche l’altra “anima” della Bce stessa faccia la sua parte: quella incaricata della vigilanza sulle banche. Le notizie che arrivano in questi giorni non sono incoraggianti: sembra che il Supervisory Board stia elevando in maniera arbitraria e poco trasparente i requisiti patrimoniali su alcune banche, con il probabile risultato di frenare il credito all’economia. Se questo fosse vero, assisteremmo a una parte della Bce che “rema contro” quello che l’altra sta faticosamente cercando di fare: rilanciare l’economia europea.

Angelo Baglioni, lavoce.infoCollegamento esterno

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