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Il salvataggio dell’euro passa dalle banche

Indispensabili nei prossimi anni delle istrutturazioni bancarie, non solo in Grecia tvsvizzera

Di Diego Valiante (LaVoce)

Il nuovo piano da 86 miliardi per la Grecia ha evitato per ora la deflagrazione della moneta unica. Ma se non si completa l’unione monetaria, mettendo mano ai sistemi bancari dell’Eurozona, non ci sarà una soluzione definitiva. E torneremo presto a parlare di un altro programma di salvataggio.

La fuga dei capitali

Il negoziato tra la Grecia e gli altri stati dell’euro, che va avanti da mesi, avrà effetti recessivi sull’economia greca. Il Fondo monetario internazionale prevede solo per quest’anno una perdita di prodotto interno lordo almeno uguale al 3 per cento.

Oltre ai mancati introiti per coprire la spesa corrente, l’indebolimento della capacità fiscale ha già avuto effetti devastanti sul sistema bancario locale. All’indomani della decisione di ricorrere al referendum, infatti, è iniziata una corsa agli sportelli: il timore era che l’eventuale impossibilità del governo greco di ripagare i propri debiti avrebbe causato perdite enormi alle banche greche che detengono obbligazioni e crediti governativi con pesanti ripercussioni sui depositi di cittadini e imprese. Solo l’introduzione tempestiva di restrizioni sul movimento dei capitali, incluso un divieto di prelievo giornaliero sopra i 60 euro, ha evitato il collasso totale del sistema bancario.

Il ruolo della Bce

Nei mesi passati, la linea di credito d’emergenza della Banca centrale europea, da poco elevata a circa 90 miliardi dal suo Comitato esecutivo, ha aiutato molto a bilanciare una fuga di capitali di oltre 35 miliardi di euro da fine 2014 (circa il 25 per cento di tutti i depositi da dicembre scorso).

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Tuttavia, in queste settimane, la Bce si è tirata indietro rispetto alle richieste di ulteriore credito d’emergenza da parte della banca centrale greca, aspettando che si arrivasse a un accordo politico. Molti l’hanno descritta come una scelta politica per forzare la Grecia e i creditori a trovare un’intesa, mentre altri la vedono in linea con lo statuto della Bce che vieta il finanziamento di banche insolventi e (indirettamente) di uno stato in bancarotta. In effetti, le banche greche sono esposte soprattutto verso l’economia locale, con crediti deteriorati (non-performing loans) superiori al 40 per cento di quelli totali. Un numero che la Bce, dopo una ricapitalizzazione di 8 miliardi in gran parte tramite fondi esteri, ha ritenuto sufficiente per evitare l’insolvenza o la ristrutturazione nel comprehensive assessment e stress test del 2014.

Pertanto, il sistema bancario è il settore che oggi desta maggiore preoccupazione. L’incertezza generata dalle restrizioni sui movimenti dei capitali ha bloccato anche i pagamenti di salari e bollette. Senza una sufficiente capitalizzazione e garanzia per i depositi, in caso di fallimento non ci sarà stabilità. Il fondo di garanzia dei depositi greco ha solo 3 miliardi di euro, rispetto ai quasi 100 miliardi di depositi coperti dalla garanzia statale, mentre le garanzie dello stato greco (inclusi crediti fiscali) sono carta straccia. L’unione bancaria avrebbe dovuto creare un fondo europeo comune di garanzia dei depositi da affiancare a un fondo di risoluzione (finanziato dalle banche) per slegare il destino degli istituti di credito da quello degli stati nazionali. Queste riforme, rallentate da paesi come la Germania, avrebbero permesso allo stato greco di fallire senza spianare la strada per l’uscita dall’euro.

Una ristrutturazione complessa ma possibile

Ora la ristrutturazione seguirà una procedura complessa e non sempre chiara. Dopo l’estate, la Bce dovrà prima revisionare i bilanci delle banche greche e valutare accuratamente qual è il valore residuo degli attivi. L’accordo con gli altri paesi dell’euro prevede che una quota del prestito dello European Stability Mechanism, tra 10 e 25 miliardi, sia destinata alla ricapitalizzazione del sistema bancario. La ricapitalizzazione diretta dell’Esm imporrà una perdita per creditori e azionisti pari all’8 per cento del totale impieghi e potrebbe essere stimata intorno ai 31 miliardi di euro. Questo dovrebbe causare un haircut anche su depositi non eleggibili per il fondo di garanzia, mentre i depositi bancari eleggibili (anche al di sopra dei 100mila euro) dovrebbero rimanere fuori dal bail-in (con dati a fino maggio).

Come per le Cajas in Spagna, i fondi pubblici potrebbero essere usati per la creazione di una banca pubblica, dove raccogliere tutti gli impieghi più problematici con i fondi pubblici che coprono le perdite appena si materializzano.

La bad bank è in generale una soluzione costosa e inefficiente in termini di incentivi, ma potrebbe essere la soluzione migliore quando i crediti deteriorati sono così tanti da creare un meccanismo di selezione avversa che distrugge la possibilità di una soluzione di mercato. Una volta organizzato un piano di supporto fiscale per le banche, che dovranno gradualmente ridurre l’esposizione verso il debito pubblico greco, la Bce potrebbe elevare ancora più di quanto abbia fatto il tetto alla liquidità di emergenza per le banche greche.

Intanto, come per Cipro, le restrizioni sui movimenti dei capitali rimarranno probabilmente per alcuni anni, con un graduale allentamento quando la situazione economica e finanziaria migliorerà.

La difesa dell’area euro nei prossimi mesi e forse anni passerà per le ristrutturazioni bancarie, non solo in Grecia. Il meccanismo unico di risoluzione (con un supporto fiscale adeguato), il meccanismo di ricapitalizzazione (Esm) e la vigilanza unica Bce giocheranno un ruolo fondamentale per il salvataggio dell’euro, ma avranno bisogno di una vera governance comunitaria e non nazionale. Un percorso obbligatorio per completare l’unione monetaria, ma la strada è ancora lunga e perigliosa.

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