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Napoli e la banda dei falsi euro: ricorda Totò, ma c’è poco da ridere

di Aldo Sofia

Dici falsari, e a chi pensi? All’esilarante “Banda degli onesti”, film in bianco e nero del 1956, con l’inossidabile coppia Totò&Peppino, che (rinvenuti casualmente alcuni cliché della Banca d’Italia) nella cantina del condominio organizzano una improvvisata tipografia, tra bigliettoni appesi con le mollette e macchine sbuffanti. Coppia pasticciona, timorosa, colta da continui sensi di colpa, e con il portinaio “Antonio Bonocore” che oltretutto ha anche la bella idea di nascondere la valigia col “malloppo” proprio sotto il letto del figlio finanziere.

Cinquantotto anni più tardi, ci sarebbe poco da ridere alla notizia che Napoli è stata per anni la capitale mondiale degli euro falsi. Un fiume di euro. Eppure c’è chi evoca, con malcelata simpatia, una certa ‘genialità’ partenopea anche nell’illegalità spicciola. Dalle magliette con il disegno della cintura da indossare in auto per evitare la scomodità e l’obbligo di “allacciarsi”, al giornalista settentrionale (storia vera) che volendo indagare con scrupolo e grande attenzione su come riescano a “venderti” un televisore a prezzo scontatissimo in uno scatolone pieno di sassi, si ritrovò appunto con un pugno di pietre. Del resto, attorno alla stazione centrale, ormai anche gli irregolari africani sanno imbrogliarti con il gioco delle tre carte.

La contraffazione, poi, in Campania è una sorta di mondo sotterraneo. Letteralmente. Sottoscala trasformati in laboratorio, dove laboriose famigliole sgobbano per applicare i prestigiosi marchi di celebrate “maison” su borsoni e borsette, cinture e portamonete. Fuori Napoli, nella “Terra dei fuochi”, vi sono roghi che da anni diffondono i loro micidiali veleni mentre bruciando residui di merce contraffatta e altrimenti impossibile da smaltire come rifiuti speciali (rintracciabili) perché prodotti in fabbriche clandestine. Economia sommersa che dà lavoro a centinaia di migliaia di persone. Per questo si chiude un occhio; mentre, come ci fece capire il commissario anti-corruzione, Raffaele Cantone, ci sono grandi firme che assegnano il lavoro a prezzo scontato sapendo benissimo che, di mano in mano, di subappalto in subappalto, una parte delle ordinazioni finisce per essere lavorato in quei sottoscala.

Ma con la “Napoli Group” – nome in codice dato dai carabinieri all’operazione che dopo due anni di indagini ha smantellato l’organizzazione – si registra quella che con brutta espressione si usa definire “un salto di qualità”. Una banda (non “degli onesti”, e di certo senza sensi di colpa) perfettamente organizzata, strutturata su quattro livelli (stoccaggio, grossisti, fornitori, distributori), due tipografie a disposizione (in Campania e vicino a Roma), capace di operare in tutta Europa e persino in Africa, e che in certi Paesi dell’Est organizzava addirittura degli “stage” per formare aspiranti falsari. Non solo di euro, ma anche di dollari (“gnocchi”, in gergo) carta da bollo, monete, e gratta e vinci.

Quindi un affare terribilmente serio. Si calcola che sotto il Vesuvio sia stato “prodotto” il 90 per cento degli euro falsi che girano nel mondo. E che l’affare ha provocato danni per mezzo miliardo da quando é entrata in vigore la moneta comunitaria. Non proprio bruscolini. Profitti colossali e una sfacciataggine di bronzo. I novelli falsari hanno persino inventato carta-moneta da 300 e da 30 euro. Inesistenti, la Banca centrale europea non si è mai sognata di stamparle. E almeno una da trecento euro è stata acquistata (magari con relativo sconto?) da un artigiano in Germania. Avranno voluto fare uno sberleffo alla Merkel, austera guardiana dell’euro? E qui, inevitabilmente, si torna a Totò. Che nel film “La banda degli onesti” aveva una moglie…tedesca.

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