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Prove tecniche di tregua USA-Russia in Ucraina e Siria

Limes

di Dario Fabbri

In Ucraina e in Siria stanno andando in scena prove tecniche di tregua tra Stati Uniti e Russia. Non il tentativo di raggiungere uno strutturato compromesso che ponga fine all’endemica ostilità tra le due nazioni. Quanto la possibilità che, superando resistenze interne ed esterne, si giunga ad una soluzione temporanea che omologhi lo status quo, senza umiliare Mosca.

A fine marzo il segretario di Stato John Kerry si è recato per l’ennesima volta in Russia con l’obiettivo di discutere con il suo collega russo, Sergei Lavrov, delle crisi ucraina e siriana. Le rispettive cancellerie hanno segnalato l’intenzione di negoziare sui entrambi i fronti. Di fatto quanto chiedeva Mosca, che a fine settembre è intervenuta in Siria, oltre che per puntellare l’alleato regime di Damasco, soprattutto per acquisire credito geopolitico da spendere sul dossier ucraino. Nelle ultime settimane si sono susseguiti gesti di preparazione in vista di una tale svolta. A metà marzo, quasi a premiare gli sforzi di Putin in Siria, l’aeronautica americana ha colpito e ucciso Abu Omar al-Shishani, di origini cecene e nemico numero uno del Cremlino. Quindi negli stessi giorni, proprio per dimostrare la propria disponibilità a trattare, lo zar Vladimir ha annunciato il (parziale) ritiro dalla Siria del contingente militare russo, per poi concentrarsi sulla scenografica liberazione di Palmira.

I punti di una possibile tregua sono già ampiamente noti. L’Ucraina rimarrebbe politicamente filo-occidentale ma militarmente neutrale. Con il Donbass a statuto speciale e la questione della Crimea ufficialmente rinviata a specifiche trattative ma in realtà riconosciuta quale territorio russo. Mentre a Damasco resterebbe in sella il regime alauita, depurato della figura di al-Assad, cui si sostituirebbe un più presentabile membro del suo clan. In attesa di rintracciare una o più potenze autoctone disposte a combattere realmente lo Stato Islamico sul terreno. Nulla di rivoluzionario. Soprattutto la certificazione che gli Stati Uniti ritengono soddisfacente l’attuale situazione europea e mediorientale. E che, data la congiuntura economica, la Russia deve accontentarsi di promesse, su tutte quella di un’Ucraina militarmente non schierata.

Restano da superare numerosi ostacoli prima di formalizzare un’intesa di ampio respiro. Anzitutto la contrarietà di alcuni ambienti gravitanti intorno alla Casa Bianca che, sebbene ormai di influenza minore, vorrebbero sfruttare il momento per spingere la Russia al collasso. Quindi l’opposizione dei paesi dell’Europa orientale che bollano come appeasement qualsiasi negoziato con Mosca. Infine la ritrosia di al-Assad che, certo d’essere ad un passo dalla vittoria, al momento non ha alcuna intenzione di abdicare.

Tuttavia nei prossimi mesi, vinte le principali resistenze, si potrebbe giungere ad un accordo. Che non porrà fine al fisiologico e perenne scontro tra Stati Uniti e Russia. Con Washington che continuerà ad incalzare il nemico sullo scacchiere europeo e nel Caucaso. E con Mosca impegnata a puntellare il proprio confine occidentale e a sopravvivere alla perdurante crisi economica. Ma che potrebbe temporaneamente sistemare i dossier ucraino e siriano ed allontanare nel tempo l’acme della tensione russo-statunitense.

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