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“Se la Svizzera non ci fosse, il mondo avrebbe un problema in più”

Ignazio Cassis
Ignazio Cassis è ministro svizzero degli affari esteri dal 2017. Thomas Kern/swissinfo.ch

Il 10 dicembre ricorre il 70° anniversario della Dichiarazione universale dei diritti umani dell’ONU, un documento oggi esposto a diverse pressioni un po’ ovunque nel mondo. La Svizzera ribadisce invece la sua volontà di difenderlo, confermandosi anche paladina della promozione della democrazia ad esso correlata, afferma il ministro degli esteri Ignazio Cassis nell'intervista a swissinfo.ch.


Questo articolo fa parte di #DearDemocracy, la piattaforma di swissinfo.ch sulla democrazia diretta. Qui, oltre a giornalisti interni della redazione, si esprimono anche autori esterni. Le loro posizioni non corrispondono necessariamente a quelle di swissinfo.ch.

swissinfo.ch: I suoi colleghi all’estero le chiedono spesso informazioni sulla democrazia diretta in Svizzera?

Ignazio Cassis: Per la verità mi interpellano raramente utilizzando il termine esatto. La ragione è assai semplice: in molti paesi e culture il termine “democrazia diretta” non è molto conosciuto. Mi capita invece molto spesso di parlare dei nostri diritti popolari per spiegare il funzionamento del sistema elvetico.

Come funziona la Svizzera? È una domanda che molti si pongono, anche all’interno dei confini nazionali. E la risposta penso non possa prescindere dal concetto di democrazia diretta. Convengo che sia un sistema macchinoso, ma pur costandoci parecchia energia il coinvolgimento diretto dei cittadini contribuisce a garantire una grande stabilità, sia sul piano sociopolitico che su quello economico. Molti ci invidiano proprio per questo.

Questo sistema è attuabile solo in Svizzera?

Dal profilo storico è innegabile che abbiamo avuto delle premesse favorevoli. La Svizzera non ha mai avuto re o imperatori e quindi nemmeno una forte concentrazione di poteri. Ma oggi in svariate parti del mondo si individuano degli approcci inediti e dei tentativi di coinvolgere maggiormente la popolazione grazie alla democrazia diretta.

Ignazio Cassis.
Thomas Kern/swissinfo.ch

Molti di questi approcci sono ancora in fase embrionale, come ad esempio l’iniziativa popolare europeaCollegamento esterno. Abbiamo avuto anche il referendum sulla Brexit nel Regno Unito, le cui modalità di attuazione sono tuttora oggetto di aspri dibattiti.

In Svizzera siamo abituati a recarci alle urne quattro volte all’anno per esprimere il nostro parere su questioni specifiche. La domenica sera, dopo lo spoglio delle schede, viene emesso il verdetto e il risultato viene accettato da tutti. Sembra qualcosa di banale ma non lo è affatto, se consideriamo ciò che succede altrove nel mondo.

Secondo la Costituzione federale, la promozione della democrazia è uno dei principali compiti della politica estera.

In politica estera, riuscire in questo intento non è affatto semplice perché la promozione della democrazia e dei diritti umaniCollegamento esterno è ovunque appannaggio della politica interna. La Svizzera punta pertanto a sostenere i progetti di cooperazione volti a rafforzare la democratizzazione attraverso la decentralizzazione. Riducendo la concentrazione del potere i cittadini hanno maggiori possibilità di esprimersi direttamente e partecipare al processo decisionale.

Tutto questo funziona soltanto se la democratizzazione e la decentralizzazione non si applicano unicamente al potere politico in quanto tale, ma vengono estese anche ai mezzi finanziari. In questo ambito i malintesi sono all’ordine del giorno: in Svizzera la democrazia diretta e il federalismo funzionano così bene proprio perché anche i mezzi a disposizione della collettività poggiano su decisioni popolari e sono fortemente decentralizzati.

“La Svizzera non ha mai avuto re o imperatori e quindi nemmeno una forte concentrazione di poteri”

Ci può fare qualche esempio in cui la promozione della democrazia da parte della Svizzera ha avuto esito positivo?

Negli ultimi otto anni dalla Primavera araba abbiamo ad esempio rafforzato il nostro sostengo alle misure di decentralizzazione in Tunisia. Così facendo abbiamo supportato anche la partecipazione attiva dei cittadini.

In questo senso sosteniamo anche la promozione delle donne. L’esperienza ci insegna infatti che in molti paesi sono spesso le donne a saper gestire il denaro con maggior oculatezza e responsabilità affinché vengano soddisfatti dapprima i bisogni fondamentali della popolazione locale.

Abbiamo contribuito a consolidare l’autonomia sul piano locale e regionale anche in svariati paesi del Sud-Est asiatico. A tale proposito mi preme ricordare che non basta esportare semplicemente il modello svizzero; ciò che dobbiamo invece fare è condividere le nostre esperienze. Fra tutte spicca la costante ricerca di un equilibrio tra potere centrale e potere periferico – ossia tra la Confederazione, i Cantoni e i Comuni – così come l’ho vissuta io in prima persona durante la mia decennale attività di parlamentare a Berna.

Non sembra per niente una formula semplice da poter veicolare nel mondo adesso che siede in Consiglio federale ed è ministro degli esteri.

No, per nulla. Ovviamente non dobbiamo sopravvalutare il peso della nostra influenza. Decentralizzazione significa anche tener conto delle diversità e disparità tra le differenti etnie o regioni di un paese.

Ne ho avuto una conferma palese in India. In questo paese fortemente organizzato secondo il modello federalistico, la domanda incalzate è: quanta disparità può sopportare uno Stato? L’avvio di una tenue armonizzazione del sistema fiscale è una prima reazione in tal senso. Proprio in questo ambito la Svizzera vanta un ampio bagaglio di esperienze.

Alla fine è quasi sempre come un piccolo miracolo se un paese democratico e decentralizzato trova delle soluzioni stabili e sostenibili per la propria coesione.

Oggi la democrazia è sotto tiro in svariate parti del mondo. I diritti umani sono calpestati, la libertà di stampa limitata, le votazioni ed elezioni manipolate. Questi sviluppi la preoccupano?

“Per la libertà dobbiamo sempre lottare attivamente! Se abbassiamo la guardia, siamo persi”

Per la libertà dobbiamo sempre lottare attivamente! Se abbassiamo la guardia, siamo persi. Paradossalmente, la crisi che stanno attraversando diverse democrazie liberali è legata al loro successo.

Come medico vedo un’analogia con le vaccinazioni: più proteggono dalle malattie, meno la gente è disposta a farsi vaccinare perché non si rende più conto del rischio di ammalarsi. E più ci abituiamo alla democrazia come a qualcosa di ovvio, meno saremo disposti a difenderla in modo attivo.

Oggi si parla di ondate populiste. Ma assistiamo anche ad una recrudescenza del paternalismo, che respinge le richieste di partecipazione e divisione dei poteri riallacciandosi al populismo. Questo reprime la nostra democrazia liberale e sinceramente mi preoccupa.

Ignazio Cassis
Thomas Kern/swissinfo.ch

In alcuni paesi i problemi sono ben più gravi: si arriva ad ammazzare un giornalista perché fa il suo lavoro. Come reagisce lei in veste di ministro degli esteri a queste gravi violazioni dei diritti umani?

Con un’immediata reazione a livello politico, con la pubblica indignazione e con misure concrete. Prendiamo il caso attuale dell’assassinio del giornalista saudita Jamal Khashoggi. Siamo di fronte ad una gravissima violazione dei diritti umani. Abbiamo immediatamente richiesto l’apertura di un’inchiesta rapida, completa e indipendente. È ovvio che il caso ha avuto delle ripercussioni sulle nostre relazioni bilaterali.

Abbiamo ad esempio bloccato l’esportazione di materiale bellico verso l’Arabia Saudita e durante i nostri contatti politici tematizziamo la situazione dei diritti umani nel paese.

“Nell’esportazione di materiale bellico siamo molto più cauti dell’Unione europea”

Tuttavia non interrompiamo i contatti con Riad, poiché la Svizzera punta a un dialogo diretto e vanta inoltre una lunga tradizione di intermediaria. Un ruolo che ci permette ad esempio di assumere mandati in qualità di potenza protettrice. Se la Svizzera non ci fosse, il mondo certo non crollerebbe, ma forse avrebbe un problema in più.

Esistono inoltre anche interessi economici e di politica interna. Proprio sulla questione relativa alle esportazioni di armi verso l’Arabia Saudita ci si trova in rotta di collisione con gli obiettivi della politica umanitaria.

Sì, ha ragione. Il conflitto d’interesse in questo caso è palese. Ma grazie alla nostra storia e alla nostra democrazia, nell’esportazione di materiale bellico siamo molto più cauti dell’Unione europea.

In base alla Costituzione federale dobbiamo garantire la nostra sicurezza e la nostra autonomia e a tal fine non possiamo fare a meno di un’industria bellica, per piccola che sia. E per ragioni economiche questa industria deve poter esportare materiale anche all’estero. Tuttavia solo in paesi non coinvolti in un conflitto.

Ignazio Cassis
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Recentemente il Consiglio federale è tuttavia tornato sui suoi passi in merito all’auspicato allentamento delle norme sull’esportazione di materiale bellico. Come mai?

Il governo ha dapprima reagito ad un suggerimento della Commissione della politica di sicurezza del Consiglio degli Stati, preoccupata per l’industria degli armamenti. Poi, quando il Consiglio federale si è nuovamente rivolto al parlamento con il relativo disegno di legge, la riforma ha sollevato aspre critiche per motivi umanitari.

Detto altrimenti: la divisione dei poteri cui siamo abituati in Svizzera ha funzionato. Prendiamo da un lato, ma non molliamo dall’altro, anche quando si tratta di richieste contraddittorie, come in questo caso.

Il 10 dicembre ricorre il 70° anniversario della Dichiarazione universale dei diritti umani. Gli accordi internazionali di questa portata giocano un ruolo centrale nella politica mondiale. Come si pone la Svizzera sullo scacchiere multilaterale della democratizzazione e della difesa dei diritti umani?

Per ogni paese di piccole dimensioni il sistema multilaterale di accordi e convenzioni è come una bibbia. Deve prevalere il potere del diritto e non il diritto del potere. Se invece predomina il diritto del potere, le cose non vanno più molto bene.

“Deve prevalere il potere del diritto e non il diritto del potere”

Il diritto internazionale tutela la Svizzera. Ciò non significa tuttavia che ne siamo succubi. Ce ne serve tanto quanto necessario, ma il meno possibile. In tal modo riusciamo a preservare anche la nostra autonomia nazionale.

Alla vigilia della votazione popolare del 25 novembre sull’iniziativa per l’autodeterminazione, in Svizzera queste questioni sono state ampiamente dibattute. Cosa possiamo imparare da questo confronto guidato dalla democrazia diretta?

Intavolare la discussione su tematiche spinose mediante il lancio di un’iniziativa popolare fa parte del gioco democratico e non va demonizzato. Nel confronto dialettico bisogna invece avanzare argomentazioni fondate a riprova del fatto che l’articolo costituzionale proposto non si traduce in una maggior autodeterminazione. Nell’iniziativa popolare è stato il popolo sovrano ad avere l’ultima parola.

Ogni élite politica deve saper far fronte e guidare questo tipo di discussione. Noi lo sappiamo fare e per questo in Svizzera non assistiamo a una radicalizzazione del dibattito politico. La nostra democrazia diretta ci garantisce abbastanza flessibilità per trovare risposte anche a domande insidiose come quella sui citati conflitti d’interesse.

Ignazio Cassis

Il 57enne di origine ticinese ricopre la carica di ministro degli esteri dal novembre 2017. Sino alla sua nomina alla testa del Dipartimento federale degli affari esteri (DFAE)Collegamento esterno, Cassis era anche in possesso della cittadinanza italiana. Dal 2008 al 2017 è stato membro del parlamento e prima ancora medico cantonale del Canton Ticino. Cassis è membro del Partito liberale radicale (PLR, destra) e vive nel piccolo borgo di Montagnola, a sud-ovest di Lugano.


La festeggiata: la Dichiarazione universale dei diritti umani

La Dichiarazione universale dei diritti umaniCollegamento esterno è stata approvata il 10 dicembre1948 dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite. Comprende 30 articoli, fra cui uno sul diritto di ogni individuo a “partecipare direttamente al governo del proprio paese” (art. 21.1.).

Sebbene il testo sui diritti umani dell’ONU sia una “legge soft” – vale a dire non cogente – funge da base per numerose convenzioni internazionali e di diritti pubblico vincolanti: ad esempio il Patto internazionale sui diritti civili e politici (Patto ONU II)Collegamento esterno e la Convenzione europea dei diritti umani (CEDU)Collegamento esterno.

Sulla scorta di questo testo fondamentale, la Svizzera si è impegnata ad iscrivere nella propria Costituzione la promozione della democrazia e dei diritti umani, rendendoli parte integrante della propria politica estera.

L’intervista è stata rilasciata il 13 novembre 2018, vale a dire prima della decisione del Consiglio federale di congelare la firma del Patto mondiale ONU per la migrazione.

Traduzione dal tedesco di Lorena Mombelli

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