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La Croce Rossa definisce critica la situazione in Iraq

Due iracheni su tre non hanno accesso all'acqua potabile Keystone

Cinque anni dopo l'inizio della guerra in Iraq la popolazione civile non sta assolutamente meglio di prima. Al contrario: più di quattro milioni di iracheni sono diventati profughi e vivono nella miseria.

Il Comitato internazionale della Croce Rossa (CICR) e Amnesty International (AI) attirano l’attenzione su questa situazione precaria. In particolare denunciano la mancanza di assistenza medica.

In un rapporto pubblicato domenica sera, il CICR sottolinea che attualmente la situazione umanitaria in Iraq è “una delle più critiche al mondo”. L’organizzazione umanitaria deplora che, “a causa del conflitto, milioni di iracheni hanno difficilmente accesso all’acqua potabile, alle infrastrutture sanitarie e alle cure mediche”.

Secondo il CICR, “l’attuale crisi è esacerbata dagli effetti prolungati dei conflitti armati precedenti e da anni di sanzioni economiche”.

“Il fatto che alcune parti dell’Iraq siano più sicure non deve farci dimenticare la sorte che continuano a subire milioni di persone abbandonate a se stesse”, ha sottolineato Béatrice Mégevand Roggo, capo delle operazioni del CICR per il Medio Oriente e l’Africa del Nord.

Civili nel mirino

Benché la sicurezza sia migliorata in talune regioni, ogni giorno vengono ancora uccisi o feriti degli iracheni in combattimenti e in attentati, si rammenta nel rapporto.

“I civili sono spesso presi di mira deliberatamente, in totale disprezzo delle regole del diritto internazionale umanitario. In molte famiglie c’è almeno un malato o un ferito, un disperso, un detenuto o una persona costretta a vivere lontana dai familiari”, si prosegue nel documento.

Appello ai belligeranti

Il CICR lamenta che le cure sanitarie, l’approvvigionamento di acqua ed elettricità sono nettamente insufficienti. Gli ospedali soffrono di carenze di personale qualificato e di medicamenti di base. Le cure sono “sovente troppo care per gli iracheni di condizioni modeste”.

“Milioni di persone possono ormai contare solo su un approvvigionamento insufficiente di acqua, che oltrettutto è di pessima qualità, poiché non è possibile la muntenzione degli impianti di erogazione e di quelli fognari”, puntualizza l’organizzazione.

Il CICR conclude rammentando a tutte le parti coinvolte nel conflitto armato che, secondo il diritto internazionale e umanitario, hanno l’obbligo di “fare tutto il possibile affinché vengano risparmiati i civili, il personale medico e le strutture sanitarie”.

Storie di massacri

Sulla stessa lunghezza d’onda è il rapporto intitolato “Massacro e disperazione, l’Iraq cinque anni dopo”, pubblicato lunedì da Amnesty International. L’organizzazione per la difesa dei diritti umani rammenta che l’Iraq è oggi uno dei paesi più pericolosi al mondo.

“Centinaia di persone vengono uccise ogni mese dalla violenza onnipresente – si legge nel documento -, mentre un numero incalcolabile di vite è minacciato ogni giorno da povertà, sospensioni dell’elettricità e dell’approvvigionamento di acqua, dalla penuria di cibo e di medicine, dalla violenza crescente contro le donne”.

Secondo AI, gli attentati delle milizie, la tortura e gli abusi delle forze irachene e la detenzione arbitraria di migliaia di persone hanno avuto “un effetto devastante, provocando la fuga di oltre quattro milioni di iracheni dalle loro case”.

Un regime di abusi

“Per la sicurezza sono stati spesi milioni di dollari, ma ancora oggi tre iracheni su quattro non hanno accesso sicuro all’acqua potabile e un terzo della popolazione (circa 8 milioni di persone) dipende dagli aiuti umanitari per sopravvivere”, aggiunge Amnesty.

Per Amnesty, il regime di Saddam Hussein era un simbolo dell’abuso dei diritti umani, “ma quello che l’ha sostituito non ha dato alcuna tregua al popolo iracheno”, compreso nella zona curda, dove la migliore situazione economica non si accompagna a un miglior rispetto dei diritti umani.

swissinfo e agenzie

Dall’inizio della guerra, oltre due milioni di iracheni sono fuggiti all’estero. La maggior parte degli esuli si è rifugiata in Giordania e in Siria.

Secondo un sondaggio condotto per conto di catene televisive della Gran Bretagna, degli Stati Uniti e della Germania, oggi quattro milioni di iracheni desidererebbero ancora emigrare. E ciò nonostante che ritengano che negli ultimi tempi la sicurezza sia migliorata. Il 18% degli iracheni ha piani concreti di emigrazione.

Molti iracheni giudicano che la sicurezza sia stata rafforzata rispetto a un anno fa. Ma il miglioramento è considerato come opera delle forze di sicurezza irachene e delle locali forze di polizia, non come un successo delle truppe americane.

La grande voglia di emigrare è legata propria a certe misure adottate in nome della sicurezza, in particolare quelle che hanno portato all’espulsione di sunniti, sciiti e curdi da quartieri e regioni in cui coabitavano popolazioni di etnie e religioni diverse.

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