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“I musulmani lavorano per la pace sociale e religiosa”

Per Montassar BenMrad, "rompere con i terroristi è un dovere civico, non è una questione di essere musulmano o non musulmano". Severin Nowacki

Il giorno dopo gli attacchi di Parigi, la Federazione delle organizzazioni islamiche in Svizzera (FOIS) ha lanciato un appello in favore della pace sociale e religiosa. Il suo presidente Montassar BenMrad ribadisce la condanna di questi atti, ma evoca anche l'indignazione a geometria variabile, la differenza tra fondamentalisti e terroristi, e la necessità di rafforzare il dialogo interreligioso.

Vodese di origine tunisina, Montasser BenMrad ha ripreso recentemente in mano le redini della FOIS, dopo il decesso dell’ex presidente Hisham Maizar. La FOISCollegamento esterno, che include 170 centri islamici, è la più grande federazione di organizzazioni islamiche in Svizzera, dove vivono circa 400’000 musulmani di origini molte diverse (il 56% proviene dall’ex Jugoslavia e il 20% dalla Turchia). 

Come il suo predecessore, il nuovo presidente fa anche parte del Consiglio svizzero delle religioniCollegamento esterno, di cui ricopre la vicepresidenza. Questo organo, che riunisce cristiani, ebrei e musulmani, vuole essere una piattaforma per il dialogo e il contatto con le autorità. 

swissinfo.ch: La settimana scorsa si è tenuta una sessione ordinaria del Consiglio svizzero delle religioni. I recenti attentati di Parigi sono stati inevitabilmente evocati … 

Montassar BenMrad: Condanniamo con fermezza questi atti vili e criminali e invitiamo le nostre condoglianze alle famiglie delle vittime. Il Consiglio delle religioni è contrario all’uso criminale del terrorismo in nome di Dio o in nome della religione e chiede una pacifica convivenza tra le diverse tradizioni e religioni in Svizzera e negli altri paesi. In una società, come la nostra, ognuno deve poter vivere le proprie tradizioni religiose, rispettando gli altri, senza dover temere il terrorismo o la violenza. Naturalmente, questa condanna vale anche per gli atti criminali che hanno avuto luogo ad Ankara, Beirut e altrove.

“Perché questi atti vengono fortemente condannati dai media quando si svolgono a Parigi? E perché si rimane invece in silenzio quando, vicino a noi, centinaia di persone muoiono in media ogni giorno in Siria?”

swissinfo.ch: Come rappresentante della comunità musulmana in Svizzera in seno al Consiglio, cosa può dire ai musulmani che si sentono imbarazzati dopo questi attacchi? 

M.B.: La comunità musulmana detesta questi atti criminali e li considera in contrasto con i riferimenti religiosi dell’Islam. Diverse dichiarazioni in tal senso sono già state fatte in passato. Una parte della comunità si pone quindi delle domande: perché deve giustificarsi continuamente, come se ci fosse una mancanza di fiducia nei suoi confronti? È come se dovesse discolparsi sistematicamente per atti di cui non è responsabile.

Il secondo argomento che sento a volte riguarda le condanne a geometria variabile: perché questi atti vengono fortemente condannati dai media quando si svolgono a Parigi? E perché si rimane invece in silenzio quando, vicino a noi, centinaia di persone muoiono in media ogni giorno in Siria? 

Nutriamo convinzioni forti contro questi atti, ma per evitare inutili sospetti, è più facile condannarli in modo chiaro. È per questo che la FOIS ha mobilitato numerose federazioni, che rappresentano circa 250 associazioni in Svizzera, per condannare fermamente quello che è successo a Parigi. 

Al di là della condanna, dobbiamo rivolgerci al futuro. La comunità musulmana fa parte della società svizzera e vuole continuare a rafforzare la pace sociale e religiosa. C’è sempre il rischio di un recupero politico di simili eventi che possono rafforzare la paura, minare la convivenza e generare effetti discriminatori. 

swissinfo.ch: Alcuni politici e intellettuali in Svizzera invitano le comunità musulmane a “rompere con i fondamentalisti” e a “non accontentarsi di condannare gli attacchi”. Come reagisce a questo tipo di appelli? 

M.B.: In primo luogo, c’è una differenza semantica notevole tra i termini “fondamentalista” e “terrorista”. Ma in tali circostanze vengono spesso fatti degli “amalgami”.

C’è una differenza semantica notevole tra i termini “fondamentalista” e “terrorista”. 

Se si tratta di “rompere con i terroristi”, la risposta è ovvia. La comunità musulmana in Svizzera non vuole associarsi o essere vicina a queste persone o a questi gruppi. Si tratta di un dovere civico e non di una questione di essere musulmano o non musulmano. 

Quando si parla di “fondamentalista”, per contro, noto spesso una valutazione soggettiva di quel termine. Per alcuni, chiunque prega cinque volte al giorno o porta semplicemente il velo, è potenzialmente fondamentalista – ciò che è evidentemente esagerato. In quest’ambito avremmo bisogno di definizioni e criteri chiari, obiettivi e comunemente accettati. 

Negli ultimi due decenni vi è stato un grande lavoro ecumenico in Svizzera all’interno della tradizione cristiana per dialogare con alcuni gruppi detti fondamentalisti, avvicinare i punti di vista e poter viere insieme in pace – piuttosto che avere gruppi che si sbranano. Probabilmente c’è un lavoro di riflessione e di dialogo da fare anche all’interno della comunità musulmana con gruppi di tendenze rigoriste. Rompere completamente il dialogo potrebbe invece aumentare il rischio di radicalizzazione. 

swissinfo.ch: Dopo i tragici eventi del 13 novembre scorso in Francia, quale ruolo potrebbero svolgere i diversi attori sociali in Svizzera per rafforzare la pace sociale? 

M.B.: La comunità musulmana deve continuare a sviluppare ciò che ha già cominciato a fare da decenni, ossia tutto il lavoro associativo e le attività di volontariato che svolge per promuovere l’istruzione religiosa dei giovani, la formazione continua degli adulti, il dialogo interreligioso e il dialogo con i vari interlocutori a livello cantonale e federale. 

Le questioni relative alla sicurezza devono essere trattate in maniera preventiva, come avviene già oggi con diverse federazioni cantonali. Probabilmente è necessario avviare progetti specifici per rafforzare i meccanismi di prevenzione, ma anche per definire un quadro chiaro per le azioni relative a questo problema. 

I messaggi dei politici e il ruolo dei media sono importanti per questo tipo di crisi. Dopo gli attacchi contro Charlie Hebdo, il messaggio di Angela Merkel, in cui affermava che “l’Islam è parte della Germania”, ha avuto un’eco positiva nella comunità musulmana. Questo ha permesso immediatamente di ridurre i rischi di tensioni e di evitare le manipolazioni politiche da parte di alcuni piccoli gruppi, come Pegida. Ha inoltre contribuito a prevenire il rischio di alcuni tipi di discriminazioni o di amalgami, a cui dobbiamo stare attenti.

Traduzione di Armando Mombelli

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