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“Il flusso dei capitali va controllato”

A Porto Alegre si discute di accesso allo sviluppo per tutta l'umanità Keystone

Porto Alegre propone nuove vie per uno sviluppo sostenibile. Flussi finanziari, tasse anti-speculazione e fondi in Svizzera al centro dei dibattiti.

La crisi argentina ha messo in evidenza i lati negativi del flusso incontrollato dei capitali. Il tema è stato discusso venerdì al Forum sociale mondiale (FSM) di Porto Alegre. Diversi partecipanti hanno lanciato il grido d’allarme: solo un controllo efficiente dei movimenti dei capitali può evitare crisi economiche nei Paesi del sud.

“La finanza mondiale ha fallito”, afferma Dominque Pilhon, professore di economia politica dell’Università di Parigi e membro di Attac. Il fatto che circa l’80% dei flussi dei capitali a livello mondiale sia concentrato nei venti Paesi più ricchi del pianeta non necessita ulteriori commenti. Ma è ancora più preoccupante costatare che il sistema attuale aggrava l’instabilità dei Paesi in via di sviluppo. “Occorre cercare un approccio alternativo”, sostiene Pilhon.

Tre rotture necessarie

Il sistema attuale va perciò cambiato effettuando tre cambiamenti profondi al sistema attuale. In primo luogo, i singoli Paesi devono avere la libertà di scegliere il modello economico che si addice meglio alle loro caratteristiche sociali, economiche e politiche, secondo il noto principio di “sviluppo sostenibile”. Secondo, ogni Paese deve essere in grado, nella misura del possibile, di autofinanziarsi con proprie risorse evitando così di cadere nella spirale dell’indebitamento estero. Occorre, infine, riconoscere ai singoli Stati il diritto di difendersi contro la mobilità dei capitali; mobilità che spesso è causa di situazioni socioeconomiche gravi e indesiderate.

Controllo del flusso dei capitali

Controllare il flusso dei capitali non significa però chiudere la porta agli investimenti esteri. “Occorre piuttosto scoraggiare investimenti speculativi e a breve termine”, osserva Gigi Francesco, economista e membro dell’ONG filippina DAWN. Alcuni paesi, d’altronde, sono già grado di tenere sotto controllo, con propri mezzi, il flusso dei capitali. Si pensi soltanto alla Cina che ha raggiunto questo scopo rendendo la propria moneta inconvertibile e quindi non dipendente dalla politica monetaria degli Stati occidentali. Altri esempi sono l’India, il Cile e la Malesia.

Tre proposte di tassazione mondiale

Ma tutto ciò non basta perché in realtà solo pochi Paesi sono in grado di farcela da soli. Ecco perché al FSM vi è un consenso (quasi) unanime sulla necessità di introdurre un sistema mondiale di tassazione dei capitali. A parte la celebre “Tassa Tobin” – la cui idea è stata lanciata già all’inizio degli anni settanta e che prevede la tassazione delle speculazioni monetarie – venerdì a Porto Alegre è stata accolta bene la proposta di una tassa globale sugli investimenti diretti. Tale tassa potrebbe limitare il volume degli investimenti che sono diretti ai Paesi poveri con il solo fine di approfittare delle loro condizioni socioeconomiche (del lavoro infantile a basso costo, ad esempio). Un’altra misura potrebbe consistere nella tassa sui “benefici consolidati” delle imprese multinazionali il cui scopo sarebbe quello di ostacolare paradisi fiscali.

Il ruolo della Svizzera

Al dibattito è intervenuto anche il consigliere nazionale Rudolf Strahm (PS/BE), membro della delegazione svizzera e esperto di questioni finanziarie e del Terzo Mondo. Strahm ha espresso dubbi sulla Tassa Tobin e su suoi possibili effetti positivi, a lungo termine, sul movimento dei capitali. “Occorre piuttosto esercitare maggior pressione sui paradisi fiscali”, ha dichiarato Strahm. Basandosi sulle statistiche ufficiali della Banca nazionale svizzera, il parlamentare bernese ha quindi mostrato che nel 2000 ben 166 miliardi di franchi provenienti dalle isole off-shore dei Caraibi si trovavano nelle banche elvetiche. In seguito al suo intervento, diversi presenti gli si sono avvicinati per conoscere il volume dei fondi dei propri Paesi che giacciono nelle banche svizzere.

“Un’utopia realista”

Ma come realizzare tali proposte? A Porto Alegre molti sono dell’avviso che il momento è favorevole siccome varie crisi che hanno scosso Paesi del sud in seguito all’introduzione delle politiche neoliberali imposte dal FMI – si pensi solo alla crisi asiatica, messicana, brasiliana o all’attuale situazione in Argentina – hanno messo in evidenza il fallimento della politica che promuove il flusso incontrollato dei capitali. “Tutto dipende dalla volontà politica, non c’è alcun problema del tipo tecnico – risponde Dominique Pilhon e conclude – la nostra è una utopia realista”.

Nenad Stojanovic, Porto Alegre, Brasile

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