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“Siamo fieri del nostro lavoro”

Denise, Beat e Germain Piller: una famiglia orgogliosa della propria attività contadina. swissinfo.ch

Nella Gruyère alcune famiglie passano ancora l'intera estate in montagna con le proprie mucche per produrre l'autentico formaggio dell'alpe.

Una professione in pericolo. Uno stile di vita duro. Insostenibile senza il supporto di tanta passione.

“La nostra giornata inizia verso le 4.30 del mattino” dice a swissinfo Germain Piller, contadino casaro, da 10 anni proprietario dell’alpe di Vounetz, a 1700 metri, sopra il villaggio di Charmey (FR). Prima dell’alba, padre, madre e figlio sono già al lavoro. Tutti i giorni.

Da maggio a settembre, il periodo trascorso all’alpe, non ci sono infatti giorni festivi. E non parliamo di vacanze o congedi… “Nessuna eccezione nemmeno quando esco con gli amici e rientro tardi”, precisa il figlio Beat, 20 anni. Si lavora ogni giorno. Allo stesso ritmo.

Quasi un cerimoniale

“Per prima cosa scremiamo il latte della sera prima. Poi usciamo per ricondurre le mucche alla stalla. Tra le 5.30 e le 7.00 le mungiamo”, continua Germain, raccontandoci la sua giornata modello.

Dopo tutta una serie di operazioni, tipiche di quella che possiamo definire l’arte casearia, verso le 9 la cagliata del giorno viene messa in forma e pressata. Ogni giorno una o due forme di formaggio Gruyère (o Vacherin, a seconda della stagione) da 30 kg vengono deposte in un apposito locale. Qui comincia la loro maturazione. Solo dopo 10-12 mesi raggiungeranno le nostre tavole.

Nel frattempo le mucche sono in stalla, “dove possono stare tranquille e riposare”, precisa il casaro. “Verso le 11 le facciamo uscire di nuovo. Poi pranziamo e, nel pomeriggio, spacchiamo legna o puliamo i pascoli”.

Il tutto fin verso le 16.00, quando i 35 animali tornano al coperto, sono nuovamente munti e ricomincia il processo di lavorazione del latte. La giornata si conclude verso le 20.30.

Vita dura

Benché nella regione esistano circa una trentina di alpi, sono solo una manciata le famiglie che, come i Piller, passano l’intera stagione sui monti. “Lavoriamo tanto e per una remunerazione minima, tanto che il nostro avvenire è incerto”, sottolinea Germain Piller.

I margini di guadagno non soddisfano infatti i produttori. “Vendiamo il formaggio alla cooperativa locale a 10.60 fr./kg: un prezzo troppo basso se confrontato ai costi della vita in continuo aumento”. Germain Piller si infuoca rivelandoci poi che, se esportato, il Gruyère da lui prodotto viene venduto al dettaglio anche a prezzi equivalenti a 42 fr./kg. “E tutto l’utile finisce nelle tasche degli intermediari!”.

“Ho 54 anni e, per quel che mi riguarda, finirò certamente i miei anni all’alpe”. Germain è fiero del suo lavoro e sua moglie Denise condivide la sua passione. “Così come mio figlio Beat. Per il futuro speriamo soltanto che anch’egli trovi una donna disposta a continuare l’avventura con lui”.

Tanto idealismo

E proprio il figlio Beat sorprende per il culto ed il rispetto che nutre per la professione. Il 20enne sprizza passione da tutti i pori. “Faccio questo lavoro da quando avevo 16 anni e non m’importa di viaggiare o fare vacanze: è bello quassù!”

Beat, che nei mesi invernali segue un apprendistato per ottenere un diploma di contadino, ci illustra una concezione quasi mistica del suo lavoro. “È una vita rude ma molto bella: lavoriamo nella natura, con il bestiame ed il suo latte, circondati da animali selvatici. Tutte cose vive: lavoriamo con la vita, non come in fabbrica o in un negozio”.

Le preoccupazioni dei genitori sono tuttavia anche le sue. “Per mantenere il nostro reddito dobbiamo lavorare sempre di più. Prima o poi giungeremo ad un punto di rottura. Speriamo che le autorità se ne accorgano e ci diano una mano. Le montagne non possono vivere senza contadini”.

Marzio Pescia

all’alpe da maggio a settembre
produzione di circa 1-2 forme al giorno
3/4 tonnellate di formaggio all’anno
35 mucche

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