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Accordi bilaterali: i parlamentari scendono in campo

Oltre 200 membri delle Camere federali si mobilitano in favore degli accordi bilaterali. Secondo loro, un sì il prossimo 21 maggio permetterebbe finalmente di normalizzare i rapporti tra Svizzera e Unione Europea.

Dopo più di quattro anni di dure trattative è giunta l’ora di mettere in vigore i sette accordi settoriali con l’Unione europea. A sostenerlo è il comitato “sì agli accordi bilaterali” che riunisce ben 209 dei 246 parlamentari federali in rappresentanza di quasi tutti i partiti. Il pacchetto, che è da approvare o respingere in blocco, consentirà di regolare i rapporti con il nostro più importante partner commerciale, e ciò a vantaggio di tutti: lavoratori e padronato, esportazioni e importazioni.

Assieme alle misure di accompagnamento contro il dumping salariale e a quelle per la promozione dei trasporti su ferrovia, il compromesso con Bruxelles assicurerebbe un futuro economico alla Svizzera garantendole nel contempo piena autonomia politica.

Nonostante gli studi fin qui effettuati indichino tutti un effetto positivo degli accordi sulla crescita del PIL (aumento valutato tra lo 0,5 e il 2 percento), la votazione del 21 maggio non è ancora vinta, ha sottolineato Christine Beerli, capogruppo PLR. Gli avversari degli accordi, ha osservato il suo omologo del PPD Jean-Philippe Maitre, sono “introvabili e agiscono in modo sotterraneo”. Una situazione da non sottovalutare secondo il comitato che ha ricordato a questo proposito il voto del 18 aprile 1999 sull’aggiornamento della Costituzione federale, quando inaspettatamente si manifestò una forte opposizione.

Anche socialisti e UDC si schierano in favore degli accordi bilaterali, tuttavia con prospettive politiche assai diverse. Il PS, ha spiegato il senatore Pierre-Alain Gentil, si augura una adesione all’UE il più presto possibile: “Ogni passo che ci fa avvicinare a questo obiettivo va nella giusta direzione”. Meno frettoloso il suo collega, il democentrista Samuel Schmid, secondo cui con un sì il prossimo 21 maggio si istaurerà di fatto una moratoria per almeno sette anni, scadenza dopo la quale sarà possibile lanciare il referendum contro l’accordo sulla libera circolazione delle persone mettendo così di nuovo in gioco l’intero pacchetto. “Sarebbe disonesto”, ha rimarcato Schmid, “far riferimento oggi alla possibilità di un referendum e in tempi brevi già negoziare la piena adesione all’UE”.

Luca Hoderas

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