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Afghanistan: togliere le mine per tornare alla vita

Afghanistan: ogni giorno dieci persone rimangono vittima di una mina antiuomo Keystone Archive

Inizia la ricostruzione del paese: un processo che passa su dieci milioni di mine disseminate sul territorio. Disinnescarle è anche impegno svizzero.

Le cifre sono impressionanti: in oltre vent’anni di guerra, dall’invasione russa del 1979 a oggi, sul territorio afgano sono state disseminate oltre dieci milioni di mine. In 13 anni sono stati disinnescati circa 70’000 ordigni, grazie all’impegno di 4’600 persone qualificate. Una goccia nell’oceano.

L’utilizzazione da parte americana di bombe a frammentazione, ha acuito ulteriormente il fenomeno. Circa il trenta per cento delle schegge non esplose rimane disperso sul territorio. Questi ordigni possono esplodere in qualsiasi momento, seminando morte e distruzione nel raggio di duecento metri.

Impegno internazionale

Sia per i profughi che intendono tornare ai propri villaggi, sia per le organizzazioni umanitarie, ogni strada o campo del paese è un rischio che impedisce il ritorno alla normalità. Per questo molte organizzazioni umanitarie si impegnano per un ripristino della normalità.

Fra queste c’è la Federazione Svizzera di sminamento (SFD). “Dal 20 novembre siamo presenti sul territorio afgano su incarico del Programma alimentare mondiale”, ha spiegato a swissinfo Michel Diot, portavoce dell’organizzazione non governativa.

Il primo luogo, la SFD deve garantire l’accesso dei convogli di generi di prima necessità alle zone di crisi. “Sono soprattutto i nuovi ordigni americani a creare i problemi più grossi – ribadisce Diot – perché le squadre afgane, già abituate a disinnescare le mine convenzionali, sono impotenti di fronte alla nuova minaccia”.

Il rientro difficile

Gli specialisti dell’organizzazione elvetica si occupano di aprire la strada ai convogli e assicurano le zone d’intervento, ma la situazione rimane critica. Molte mine convenzionali in plastica, di produzione russa o cinese, non vengono segnalate dai metal detector e sono dunque difficilmente reperibili. Inoltre questi ordigni rimangono attivi per oltre sessant’anni.

Dagli accordi di Bonn, che hanno dato il via alla ricostruzione, solo i convogli del CICR hanno già subito 22 incidenti. Le esplosioni hanno seriamente danneggiato gli automezzi e rallentato la distribuzione degli aiuti.

Difficile pensare ad una normalizzazione in tempi brevi. Anche i profughi che ritornano alle loro case, non possono coltivare i campi per il pericolo latente, nascosto sotto pochi centimetri di terra. Ogni giorno almeno dieci afgani, spesso bambini, rimangono vittima di un ordigno esplosivo, eredità di un ventennio di guerra.

L’aiuto medico – garantito dalla Croce Rossa Internazionale e da altre organizzazioni di aiuto sanitario – mantiene dei servizi di recupero e offre alle vittime delle protesi che permettono di vivere. Ma si rimane alla cura dei sintomi. Una soluzione duratura che permetta lo sviluppo della società civile necessita di una bonifica completa delle mine.

Aiuto all’indipendenza

L’organizzazione svizzera ha assunto un mandato limitato. Il portavoce di FSD precisa: “A maggio lasceremo l’Afghanistan. Il nostro impegno è chiaramente legato all’emergenza, ma per allora avremo formato delle persone sul posto che continueranno il lavoro”.

L’ONU ha calcolato che solo la bonifica del territorio da questa ipoteca, costerà in totale 1,8 miliardi di franchi svizzeri. Un’operazione che durerà molti anni, malgrado l’azione coordinata di molte organizzazioni.

Daniele Papacella

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