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Armi svizzere nelle mani di bambini soldato?

Bambini soldato sono stati impiegati nello Stato indiano del Chhattisgarh. AFP

La Svizzera ha venduto armi allo Stato indiano del Chhattisgarh, dove da anni è in atto un conflitto tra l'esercito e i ribelli maoisti e dove, secondo Human Rights Watch (HRW), sarebbero impiegati bambini soldato.

Le armi svizzere vengono esportate in tutto il mondo. Alcune giungono perfino nello Stato indiano del Chhattisgarh, dove negli ultimi anni la guerra civile ha fatto centinaia di vittime e migliaia di profughi. Secondo l’ultimo rapporto di Human Rights Watch (HRW), queste stesse armi finirebbero anche nelle mani di bambini soldato, reclutati dall’esercito e dai ribelli.

Gli autori dell’iniziativa popolare per il divieto di esportazione di materiale bellico hanno rilanciato sulla stammpa il contenuto del rapporto poche settimane prima della votazione, in agenda il 29 novembre.

La notizia ha suscitato molto scalpore. Dal canto suo, la Segreteria di Stato dell’economia (SECO) ha ammesso la vendita al Chhattisgarh di una decina di mitragliatrici, ma non che siano finite nelle mani di bambini.

Simon Plüss, responsabile del settore esportazione materiale bellico della SECO, spiega a quali condizioni la Svizzera vende armi all’estero.

swissinfo.ch: Nel caso dell’esportazione di armi verso il Chhattisgarh, è stato consultato il rapporto di Human Rights Watch dell’ottobre 2008, secondo cui dal 2005 esercito e ribelli recluterebbero bambini soldato?

Simon Plüss: Al momento non posso esprimermi al riguardo. La SECO sta facendo le necessarie verifiche e comunicherà le proprie conclusioni soltanto alla fine. Ciò che posso precisare è che si tratta esclusivamente di 10 mitragliatrici vendute allo Stato del Chhatisgarh.

Nel concedere l’autorizzazione, la Svizzera si è riservata il diritto di verificare – se necessario – in che modo queste armi vengono impiegate. Un controllo che può essere eseguito dal nostro addetto alla difesa.

swissinfo.ch: Questo non viene sempre fatto?

S.P.: Praticamente questa è la prassi normale. È però un diritto che si scontra con la sovranità dei paesi destinatari in conflitto. Ci sono Stati che non accettano di buon grado che la Svizzera vada a controllare se le armi vengono utilizzate come promesso. Lo Stato del Chhattisgarh ha però accettato senza riserve.

swissinfo.ch: E come vengono eseguiti questi controlli?

S.P.: Al momento non posso fornire dettagli.

swissinfo.ch: Come si svolge in linea di massima il processo di approvazione dell’esportazione di armi?

S.P.: Per esportare, commerciare o procurarsi materiale bellico, è necessaria prima di tutto un’autorizzazione di principio, da richiedere presso la Segreteria di Stato dell’economia (SECO). L’ufficio competente verifica se il richiedente offre le necessarie garanzie per una gestione regolare degli affari e se le attività previste sono o meno contrarie agli interessi svizzeri.

Se non vi sono condizioni contrarie, la richiesta viene accolta. Se una società con un’autorizzazione di principio inoltra una richiesta di esportazione, transito, mediazione e commercio con paesi in conflitto, questa autorizzazione viene nuovamente esaminata.

L’articolo 22 della legge federale sul materiale bellico prevede che questo tipo di attività siano possibili unicamente se non violano il diritto internazionale pubblico, non ledono i principi della politica estera svizzera e gli impegni internazionali da esse contratti.

swissinfo.ch: Cosa significa concretamente?

S.P.: Nell’articolo 5 dell’Ordinanza sul materiale bellico il Consiglio federale ha precisato questi criteri. Per esempio le richieste per l’esportazione di materiale bellico non possono essere concesse se nel paese destinatario vengono sistematicamente e gravemente violati i diritti umani oppure se questo figura tra i paesi meno sviluppati nella lista stilata dal Comitato di aiuto allo sviluppo dell’OCSE.

Il procedimento si svolge in questo modo: la richiesta viene presentata alla SECO, che si rivolge poi a diversi altri uffici. In linea di principio, viene sempre consultato il Dipartimento federale degli affari esteri (DFAE), incaricato di verificare se il paese destinatario rispetta i diritti umani o se in alcune regioni vengono portati avanti progetti di aiuto allo sviluppo da parte svizzera o di altri Stati.

A volte è necessario consultare anche il Dipartimento della difesa, in particolare quando la richiesta solleva un aspetto della politica di sicurezza, oppure anche l’Ufficio federale dell’energia per questioni legate al nucleare.

swissinfo.ch: Cosa accade quando i Dipartimenti non sono d’accordo?

S.P.: Se emergono divergenze tra i vari dipartimenti, la richiesta viene trattata ai piani più alti. E quando è di importanza cruciale per la politica di sicurezza o per la politica estera, spetta al Consiglio federale decidere. Con importanza cruciale si intendono ad esempio esportazioni verso l’Egitto, l’Arabia Saudita, il Pakistan o la Corea del Sud. Il luogo è dunque più importante della quantità o del tipo di armi.

swissinfo.ch: Significa che in casi come questi la decisione si basa meno sui fatti e più su motivazioni politiche?

S.P.: Non direi, perché anche le decisioni del Consiglio federale sono vincolate alla legge sull’esportazione di materiale bellico.

swissinfo.ch: Quali sono le fonti consultate per valutare la situazione nei diversi paesi destinatari?

S.P.: La valutazione del rispetto dei diritti umani è portata avanti dal Dipartimento federale degli affari esteri (DFAE). È chiaro che prendiamo anche informazioni supplementari quando ne abbiamo la possibilità. Ma di fatto, è il DFAE ad essere responsabile. I rapporti delle ONG vengono consultati dalle missioni direttamente sul campo, ossia dalle rappresentanze diplomatiche e dagli addetti alla difesa. Le fonti sono quindi molteplici.

swissinfo.ch: Cosa accade quando viene infranta la legge? Quali sanzioni vengono imposte?

S.P.: Ci sono diversi tipi di sanzione. Prima di tutto vengono bloccate le esportazioni non ancora portate a termine. Quindi vengono respinte nuove richieste di esportazioni in questo paese. così colpiamo in modo molto severo i paesi destinatari, perché anche le armi già acquistate non possono più essere gestite con la collaborazione tecnica della Svizzera e i pezzi di ricambio non vengono più procurati.

Ci sono naturalmente anche altre sanzioni che la Svizzera potrebbe prendere in considerazione: restrizioni sui visti per i rappresentanti del governo, misure nell’ambito della collaborazione allo sviluppo o altre misure simili. In questo contesto bisogna comunque ricordare che gli abusi sono rari. Da quando è entrata in vigore la legge sul materiale bellico nel 1998, abbiamo trattato 30’000 richieste di esportazione di armi. Finora ci sono noti solo due casi di abusi.

Eveline Kobler, swissinfo.ch
(Traduzione e adattamento dal tedesco, Stefania Summermatter)

L’autorizzazione per affari con l’estero e la conclusione di contratti non è rilasciata se:

– Il paese destinatario è implicato in un conflitto armato interno o interna-zionale;

– Il paese destinatario viola in modo grave e sistematico i diritti umani;

– Il paese destinatario figura tra i paesi meno sviluppati nell’elenco in vigore dei paesi beneficiari dell’aiuto pubblico allo sviluppo, stilato dal Comitato di aiuto allo sviluppo dell’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico;

– Esiste un forte rischio che, nel Paese destinatario, le armi da esportare siano impiegate contro la popolazione civile;

– Esiste un forte rischio che, nel Paese destinatario, le armi da esportare siano trasferite a un destinatario finale indesiderato.

Ordinanza concernente il materiale bellico. Art. 5 Criteri per l’autorizzazione di affari con l’estero.

Nello stato indiano del Chhattisgarh è in atto una guerra civile tra l’esercito e i ribelli maoisti, i cosiddetti naxaliti.

Il termine deriva dal villaggio di Naxalbari, nello Stato del Bengala Occidentale, dove nel maggio del 1967 scoppiò una rivolta di contadini poveri contro i latifondisti locali.

In seguito alla protesta, diversi gruppi maoisti hanno formato un movimento di resistenza rifugiandosi nelle zone più remote del paese. Attualmente sono attivi in 16 dei 28 Stati indiani.

Nello Stato del Chhattisgarh i naxaliti si sono schierati a difesa della popolazione tribale adivasi, poverissima e in maggioranza analfabeta.

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