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Barack Obama visto come un’icona del XXI secolo

I tre studenti del Franklin College "fan" di Obama: (da sinistra a destra) Nicholas Hasko, Emily Boynton e Dylan Lee swissinfo.ch

Il vento di speranza di Obama si è spinto fino al "Franklin College Switzerland", un angolo d'America in terra ticinese da cui guardare il mondo, situato a pochi passi da Lugano.

L’università americana a Sorengo è frequentata in maggioranza da giovani americani. Tra di essi ci sono anche Emily Boynton (21 anni, stato del Colorado), Dylan Lee (19 anni, Virginia del Nord) e Nicholas Hasko (23 anni, Washington).

Tre giovani studenti brillanti e molto preparati che incontriamo a poche ore dall’elezione di Barack Obama alla presidenza degli Stati Uniti d’America (USA). Una svolta epocale nella storia, di cui vanno giustamente fieri.

“Bush è stato l’incubo della mia adolescenza”

L’emozione è ancora palpabile. Specialmente sul volto di Dylan, che come membro dell’assemblea degli studenti ha organizzato diversi dibattiti sulle elezioni americane. “Sono felicissimo. Obama – sottolinea Dylan – rappresenta davvero una nuova speranza per l’America, e forse anche per il resto del mondo. Credo inoltre che il suo profilo di uomo politico, rappresenti una rottura rispetto al passato. Il suo carisma, il modo in cui entra in relazione con la gente, è davvero sorprendente”.

Anche Emily Boynton manifesta apertamente il suo entusiasmo per la vittoria di Obama e sottolinea l’importanza della sua personalità, così diversa da quanto l’America ha conosciuto in precedenza: “Penso che Obama riuscirà a cambiare lo sguardo del resto del mondo sull’America di oggi”.

“I prossimi quattro anni – sottolinea Emily – saranno molto interessanti. Ma anche difficili, perché le sfide che attendono Obama sono estremamente impegnative. Per Obama, sui cui gravano speranze e aspettative, sarà un cammino in salita”. Emily spera inoltre che il nuovo presidente riesca a cambiare anche il modo di pensare della gente.

“Io sono soprattutto contento che queste elezioni siano terminate”, esclama Nicholas Hasko, che l’anno scorso ha presieduto l’assemblea degli studenti. E subito aggiunge “Gli anni di George Bush sono stati l’incubo della mia adolescenza, hanno incarnato un’ America in aperto contrasto con i miei valori. Sono pertanto contento che sia tutto finito. E sono evidentemente felice per la vittoria di Obama”.

Una speranza per tutti

La parola speranza corre sulle labbra dei tre studenti. “Nella sua agenda politica Obama ha inserito i problemi reali della gente, non solo obiettivi e strategie militari. Bush – ricorda Dylan – ha trasformato l’America in una nazione isolata e in guerra contro il mondo. Viaggiando all’estero, mi è capitato spesso di essere guardato male perché americano. E mi sono sentito ferito, perché so che il mio paese non è solo quello di Bush”.

Nicholas, che si definisce un “democratico scettico”, apprezza non solo il percorso personale di Obama, ma anche e soprattutto la sua posizione all’interno del partito democratico. “Obama – precisa lo studente – rappresenta un’anima diversa da quella classica, compresa quella dei Clinton, comunque conformi a certe logiche politiche e di potere”.

“Io credo nel servizio pubblico – sottolinea Nicholas – e credo nella sicurezza sociale. E Obama, forse anche per le sue radici urbane, affronterà i problemi in modo diverso, più attento e concreto. La sua esperienza di animatore sociale nei quartieri poveri di Chicago, è stato sicuramente un bagno di realtà nei problemi della gente”.

I tre studenti sono pure convinti che il prossimo inquilino della Casa Bianca saprà tessere relazioni diverse con il resto del mondo e favorire il dialogo per la costruzione della democrazia: con le idee, non con le armi.

“Obama sarà un uomo di dialogo non solo verso l’esterno, ma anche all’interno dell’America, che per molti versi è molto conservatrice. Alcuni suoi punti di vista particolarmente liberali – annota Emily – verranno probabilmente contrastati. Ma questo cambiamento di rotta può essere solo salutare per l’America.

Barack Obama, una nuova icona

Nicholas, che sfoggia la stoffa dell’intellettuale e del libero pensatore, non ha nessuna reticenza nell’affermare che Obama incarna indiscutibilmente la nuova icona del XXI secolo. “Assurgere ad icona – evidenzia Nicholas – può avere lati negativi, se ci soffermiamo solo sull’effetto comunicazione e propaganda. I suoi detrattori dicono infatti che si presenta come un nuovo messia”.

“Ma al di là della innegabile dimensione pubblicitaria, c’è anche molta sostanza. Io penso davvero che Obama sia un’icona: per il suo percorso personale, per la sua identità, per la sua storia. È responsabile e consapevole, sa perfettamente che lo attendono anni difficilissimi, con un carico di lavoro enorme”.

E aggiunge: “Molti non hanno votato Obama perché urbano, intelligente, ‘radical-chic’, lontano dagli ambienti ‘cocktail’ di Manhattan e dai contadini. Ma Obama si è imposto come un’icona dell’era post razziale. Si è presentato non come uomo di colore, bensì come essere umano, cittadino e americano. Così facendo ha contribuito a creare un nuovo sentimento di appartenenza nazionale”.

Le battaglie per i valori non invecchiano mai

Nicholas Hasko ha poi voluto porre l’accento su un altro elemento importante: oggi in America i veri problemi sono piuttosto legati alla dimensione di classe sociale: “A vivere in povertà, non ci sono solo neri, ma anche ispanici e bianchi. La vera emergenza è sociale e di classe”.

“Obama non è affatto un socialista, non si scaglia contro il capitalismo e difende apertamente il libero mercato. Ma ritiene tuttavia che la ricchezza debba essere distribuita più equamente. E per me – conclude Nicholas – questa visione ha un solo nome: realismo”.

Per Dylan Lee, nei cui occhi si specchiano molti slanci ideali e altrettante speranze, il cambiamento era ineluttabile, in un paese – l’America – che comunque ha combattuto contro la schiavitù e per i diritti civili.

E come non ricordare, allora, i sogni – “I have a dream” – e le parole di Martin Luther King, pronunciate il 28 agosto 1963 ai piedi del Lincoln Memorial: “Ho davanti a me un sogno, che i miei quattro figli piccoli vivranno un giorno in una nazione nella quale non saranno giudicati per il colore della loro pelle, ma per le qualità del loro carattere”.
Un sogno che Barack Hussein Obama e gli americani che lo hanno eletto, hanno reso possibile.

swissinfo, Françoise Gehring, Sorengo

Il Franklin College, università americana accreditata negli Stati Uniti e presso la Conferenza Universitaria Svizzera, è stato fondato a Sorengo (Lugano) nel 1969. È un’università indipendente che comprende circa 60 programmi accademici in discipline umanistiche, scienze naturali, arte, comunicazione, economia, finanza, scienze politiche e relazioni internazionali.

Gli studenti sono 433, di cui 280 di genere femminile (pari al 64,7% della popolazione studentesca) e 153 di genere maschile (35,3%). Gli internisti sono la maggioranza (344, pari al 79,4%).

Il College è frequentato da studenti che provengono da 63 diversi paesi del mondo: la parte del leone spetta al Nord America (Canada, Mexico, United States of America) con una percentuale del 65%. Seguono: Europa, Medioriente, America Latina e Caraibi, Asia e Africa.

Il Franklin College ha scelto la Svizzera come sede europea perché considerata un buon osservatorio per comprendere i problemi dell’Europa. Come nazione multiculturale, la Svizzera rappresenta un laboratorio interessante di relazioni tra maggioranza e minoranze e tra diverse etnie.

Ecco alcuni passaggi della canzone “La storia siamo noi” del cantautore Francesco de Gregori, scritta nel 1985, che evoca, nello spirito, i messaggi del primo discorso di Barack Obama da presidente degli USA:

“La storia siamo noi, attenzione, nessuno si senta escluso./La storia siamo noi, siamo noi che scriviamo le lettere,/ siamo noi che abbiamo tutto da vincere, tutto da perdere./ E poi la gente, (perché è la gente che fa la storia)/ quando si tratta di scegliere e di andare,/ te la ritrovi tutta con gli occhi aperti,/ che sanno benissimo cosa fare./ Quelli che hanno letto milioni di libri/ e quelli che non sanno nemmeno parlare,/ ed è per questo che la storia dà i brividi,/ perché nessuno la può fermare”.

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