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Borse 2000: ridimensionata la new economy ed i sogni di molti investitori

Un 2000 da dimenticare per i grandi vincitori del 1999. I titoli tecnologici crollano e con loro molte certezze. Ritornano in auge gli investimenti difensivi. Gli indici svizzeri in controtendenza. Bilancio di swissinfo e di alcuni esperti del settore.

L’annata borsistica è stata piuttosto tempestosa e parecchi, dopo gli strepitosi guadagni del recente passato, si ritrovano con portafogli dimezzati. Sulla base di un anno come il 1999, nel quale i titoli tecnologici, facenti parte di quella che è denominata la new economy, hanno trascinato verso l’alto tutte le borse mondiali, molti speravano che il miracolo continuasse anche quest’anno. Ciò non si è purtroppo verificato e le prospettive di facili guadagni grazie ai settori dei semiconduttori, della telefonia, dei softwares e del mondo legato ad internet si sono rivelate vane.

Per stilare un bilancio dell’anno che sta per concludersi, swissinfo ha contattato alcuni operatori del settore: Aldo Visani, responsabile dell’investment research alla banca del Gottardo di Lugano, Pierre Tissot, economista presso la Lombard Odier & Cie di Ginevra, Michele Malingamba, responsabile per gli investimenti azionari della BSI di Lugano e José Antonio Blanco, responsabile dell’analisi finanziaria per UBS Svizzera a Zurigo.

Andamento altalenante

L’anno può essere suddiviso in due fasi ben distinte. La prima, fino a circa la metà di marzo, si è rivelata una continuazione del brillante 1999. Forti rialzi soprattutto nei settori tecnologici hanno condotto i mercati verso valori sempre più insostenibili. In seguito, le quotazioni dei listini della new economy hanno subito delle correzioni rapide ed imponenti, tanto quanto lo erano stati i rialzi nell’anno precedente. L’euforia iniziale è quindi svanita rapidamente lasciando spazio ad incertezze, evoluzioni imprevedibili e andamenti decisamente altalenanti. Ancora oggi è difficile comprendere se questa correzione sia giunta alla sua conclusione oppure no. Alcuni indici tecnologici hanno perso fino al 50 per cento dall’inizio dell’anno (come ad esempio il Nasdaq americano). Aldo Visani sottolinea però come l’evoluzione sia stata divergente tra i diversi settori: mentre la nuova economia perdeva moltissimo, alcuni titoli farmaceutici, assicurativi, bancari o alimentari hanno guadagnato più del 30 per cento.

Una crisi annunciata

Quali sono stati i motivi che hanno portato al crollo dei titoli tecnologici? Tutti i nostri interlocutori concordano su un aspetto: il loro valore aveva raggiunto delle valutazioni assurde, al di fuori di qualsiasi logica economica. Gli investitori hanno considerato delle prospettive di crescita del settore troppo ottimistiche. Titoli di aziende che non avevano ancora generato nessun utile avevano quotazioni altissime unicamente grazie al settore tecnologico nel quale operavano. Secondo José Antonio Blanco, in caso di nuovi mercati, tale euforia è abbastanza tipica: “Si tende a cominciare con un grande ottimismo e poi, dopo un qualche tempo, arrivano le correzioni”. La bolla speculativa che avvolgeva il settore sarebbe prima o poi scoppiata. Ciò è accaduto appunto nel marzo di quest’anno.

Un altro fattore, citato da Pierre Tissot e dal portavoce della banca del Gottardo, è legato alla politica restrittiva delle banche centrali, ad esempio della FED americana. In effetti, nel corso dell’anno si è assistito ad un continuo rialzo dei tassi d’interesse per scongiurare pericoli inflazionistici. I mercati si sono così trovati piuttosto a corto di liquidità, ciò che, per aziende della new economy che investono moltissimo nella ricerca e sviluppo di prodotti, si è rivelato incompatibile con le previsioni di utili molto alti. Michele Malingamba ricorda come, nel settore della telefonia, si è pure assistito alle aste per le licenze UMTS. Queste nuove licenze sono state pagate a peso d’oro nella maggior parte degli Stati. Evidentemente anche questi notevoli investimenti non hanno permesso il raggiungimento degli obiettivi finanziari che gli investitori si attendevano.

L’ampiezza del ribasso ha in parte sorpreso. L’aspetto più significativo, sottolinea Pierre Tissot, è che tale ribasso è stato indiscriminato: le aziende tecnologiche sane e finanziariamente solide hanno subito il calo dell’intero settore nella stessa proporzione delle imprese che non davano nessuna garanzia finanziaria.

Un’influenza limitata sugli altri mercati

E’ indubbio che il crollo di un settore considerato, fino all’anno precedente, una specie di gallina dalle uova d’oro, ha lasciato il segno in termini di incertezza e sfiducia. Secondo Aldo Visani, “la psicologia di mercato è stata sicuramente disturbata” anche se ciò non ha impedito ottimi rendimenti in alcuni settori. Michele Malingamba segnala come molti investitori hanno cercato ancore di salvezza e le hanno trovate nei titoli della vecchia economia, più difensivi e ciclici. In un certo senso, il ribasso degli indici tecnologici ha quindi influenzato positivamente l’andamento dei mercati più difensivi e tradizionali.

D’altra parte, i nostri interlocutori rilevano una ritrovata razionalità sui mercati. L’attenzione degli investitori ha tenuto maggiormente in considerazione l’evoluzione congiunturale. Come indica il portavoce dell’UBS, José Antonio Blanco, “il fatto che comunque quasi tutti i mercati abbiano subito delle correzioni, ha più a che vedere con i dubbi che cominciano a sorgere sul potenziale di crescita dell’economia americana, che non con i problemi nel settore tecnologico”.


Come si è comportata la borsa svizzera ?


Analizzando l’andamento dei principali indici mondiali si nota come due tra i più importanti indici svizzeri (SMI E SPI) siano tra i pochi ad avviarsi ad una chiusura positiva del 2000.

Non sembrano esserci magie alla base della tenuta della borsa svizzera. In effetti, la ragione principale riguarda la composizione degli indici. I listini sono calcolati sulla capitalizzazione di mercato delle imprese. Il mercato svizzero si caratterizza per essere dominato da poche grandi imprese, attive soprattutto nel settore farmaceutico, finanziario, assicurativo e bancario. Queste grandi società, tutte con quote importanti negli indici svizzeri, ne influenzano quindi parecchio l’andamento. Le buone prestazioni dei settori nei quali operano, si ripercuotono quindi sulle performances del SMI o del SPI. Significativa una frase di Aldo Visani: “Il mercato svizzero è andato bene non perché è svizzero, ma perché è un mercato orientato quasi esclusivamente verso i settori tradizionali”. Sono invece poco rappresentati i titoli della cosiddetta new economy, che hanno perso anche in Svizzera, così come nel resto del mondo.

Secondo la BSI, altri due fattori hanno aiutato il mercato svizzero a ben figurare nel corso del 2000. In caso di turbolenze o incertezze, la Svizzera ritrova il suo ruolo di paese rifugio, caratterizzato da un mercato difensivo. Secondariamente, in Svizzera si trovano delle ottime aziende che garantiscono un valore concreto agli indici nazionali. Le quotazioni di queste società molto equilibrate non raggiungono dei picchi spropositati ed insostenibili.


Marzio Pescia

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