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Da 35 anni per un mondo più giusto

L'acqua monopolio delle multinazionali? La Dichiarazione di Berna è attenta ai problemi della globalizzazione. www.evb.ch

Anniversario per l'organizzazione non governativa, nata da un manifesto per una nuova etica mondiale: la «Dichiarazione di Berna» compie 35 anni.

Nata nel ’68 con una risoluzione terzomondista, l’organizzazione è ormai un osservatorio della società e dell’aiuto allo sviluppo.

La «Dichiarazione di Berna» è figlia della primavera ideologica del ’68. Ma non è nata in ambienti studenteschi, come tanta parte della rivolta di quegli anni. Iniziatori sono stati dei teologi protestanti, ma da subito il dibattito ha assunto una dimensione etica che supera i confini di una chiesa o una posizione politica definita.

Motore della dichiarazione era la presa di coscienza della realtà del pianeta. Il divario fra primo e terzo mondo, l’insufficiente solidarietà dei ricchi verso i poveri: questi i punti focali del primo gruppo.

Si partiva dall’attività delle missioni, spesso di matrice ecclesiastica, nei paesi poveri. Un’attività che nel ’68 era definita ancora pionieristica e insostituibile, ma insufficiente a cambiare veramente le cose. I firmatari della «Dichiarazione» registravano spesso un «clima di rassegnazione fatalista».

L’azione della «Dichiarazione di Berna»

Ma l’organizzazione non ha una sua attività di aiuto allo sviluppo, non ha voluto sostituirsi alle istituzioni presenti. Da sempre il suo traguardo è in primo luogo quello di sensibilizzare l’opinione pubblica – in Svizzera e in tutto l’occidente industrializzato – verso i problemi e le loro cause.

«Apparteniamo alla prima generazione di uomini che ha conosciuto l’ampiezza del disastro e che ha i mezzi per fermarlo», recita il primo dei tredici punti della dichiarazione del 10 marzo 1968 che ha dato il nome al gruppo. La conoscenza doveva portare ad un cambiamento delle proprie azioni.

In tre decenni alcune cose sono cambiate. Molti Stati hanno sviluppato una loro attività di aiuto allo sviluppo e il diritto internazionale, come la coscienza per il rispetto dell’ambiente, hanno fatto passi avanti. Eppure la lotta per una «giustizia globale» non è più che mai necessaria, afferma l’organizzazione.

Il lavoro sul campo

«La Dichiarazione di Berna lavora su tutta una serie di tematiche; per esempio la salute, i medicinali, il comportamento delle nostre industrie farmaceutiche, delle nostre banche», ha ricordato nel giorno dell’anniversario Lara Cataldi, portavoce dell’organizzazione, ai microfoni della Radio Svizzera di lingua italiana.

Così le commissioni dell’organizzazione studiano e denunciano da 35 anni l’effetto del segreto bancario svizzero sui paesi del terzo mondo. Un effetto indiretto, visto che gli istituti di credito non sfruttano la gente dei paesi poveri, ma la connivenza con dittatori e criminali è lontana dall’etica auspicata per un futuro migliore.

Anche l’azione delle multinazionali – il loro dominio dei mercati e la strategia di dipendenza a cui i più deboli spesso sono relegati – è un elemento dell’attività dell’organizzazione. Una volta era Nestlé, nelle ultime azioni è Syngenta con il suo grano transgenico e gli antiparassitari ad essere l’oggetto della denuncia.

Ma anche il comportamento individuale e il contributo di ognuno ad uno sviluppo sostenibile sono al centro dell’azione: «Convincere la popolazione sulla necessità di pagare un giusto prezzo per evitare lo sfruttamento», ricorda ancora Lara Cataldi, va di pari passo con le trattative con gli importatori di ogni genere di beni.

Un ruolo trovato

La prima dichiarazione era firmata da mille persone. Attualmente sono 18’000 gli iscritti all’organizzazione. I teologi di un tempo sono stati sostituiti da laici, sono arrivati altri gruppi sensibili alle tematiche terzomondiste e la competenza e l’esperienza del gruppo è cresciuta.

«La Dichiarazione di Berna è oggi una parte del movimento di critica alla globalizzazione, un movimento in rapida crescita», scrive il comitato di fondazione. Il gruppo è parte attiva di una rete internazionale di organizzazioni non governative (ONG) che si impegna per i diritti umani, lo sviluppo e l’ambiente.

Questa forza ne fa in Svizzera un interlocutore importante per le istituzioni e un riferimento per le altre organizzazioni che si occupano di aiuto allo sviluppo o dei risvolti etici dello sviluppo scientifico.

Traguardi lontani

Ma costruire una società più giusta, anche oltre i confini nazionali, è un traguardo ambizioso. «Costatiamo che il pubblico è sempre più informato, e questo è uno dei nostri obbiettivi prioritari», conferma però la Cataldi. Un primo passo importante, quindi, è stato fatto.

Nel 1968, si voleva un ripensamento periodico dell’attività del gruppo. Adesso la clausola è stata tolta. Il ruolo della «Dichiarazione» è indiscusso, anche se le sue posizioni rimangono scomode e molto spesso minoritarie.

swissinfo, Daniele Papacella

Nata nel 1968, la «Dichiarazione di Berna» ha promosso un impegno per i paesi in via di sviluppo diversa dalle associazioni già presenti.

Nel 1974 è partita l’azione del caffè a prezzi che rispettano i bisogni dei produttori, un azione precorritrice del commercio equo.

Nel 1978 ha lanciato l’iniziativa popolare sulle banche. Rifiutato dal popolo, il testo ha aperto per la prima volta un ampio dibattito pubblico che ha portato alla nascita della Banca alternativa svizzera.

Nel 2000, in collaborazione con altre ONG, è nato il «Public Eye on Davos», il forum alternativo al vertice annuale dei big di politica e economia.

Il nome dell’ONG viene dalla «Dichiarazione» firmata a Berna il 10 marzo 1968
1000 i firmatari della prima ora
18’000 gli iscritti oggi
Fra i traguardi dei fondatori: il 3% del reddito deve andare allo sviluppo

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