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David Syz e il suo cinema sulla globalizzazione

David Syz dietro la macchina da presa come realizzatore. Riflettori puntati sui risvolti della mondializzazione Keystone

Dopo aver diretto il Segretariato di Stato all'economia (seco), David Syz si lancia nel documentario. Il suo primo film è stato recentemente presentato a Ginevra.

“La guerra dell’acciaio” confronta diversi punti di vista sulla questione e invita i paesi ricchi in generale e la Svizzera in particolare, ad aprire le proprie frontiere ai prodotti del Sud. Intervista.

Il primo film di David Syz è pedagogico e informativo. Scegliendo come tema “la guerra dell’acciaio”, illustra da un lato la posta in gioco del commercio mondiale e, d’altro lato, gli ostacoli nei negoziati presso l’Organizzazione mondiale del commercio (OMC).

“La guerra dell’acciaio” è un conflitto commerciale sviluppatosi nel 2002 in seguito a misure protezioniste applicate dagli Stati Uniti. Questo conflitto è stato al centro di una battaglia politico-giuridica in seno all’OMC e al suo potente ufficio preposto a dirimere i conflitti.

Il film-documentario svela certi episodi di questa battaglia e l’inattesa uscita dalla crisi grazie agli enormi bisogni di acciaio legati alla crescita della Cina.

swissinfo: Qual è l’obiettivo di Ecodocs?

David Syz: Due anni e mezzo fa ho creato questa unità di produzione per finanziare il film “la guerra dell’acciaio” e facilitarne la distribuzione, in modo particolare nei paesi in via di sviluppo.

Esattamente come evocato dal nome che porta, questa società intende produrre dei documentari economici. E’ anche un modo di trasmettere, attraverso altri canali, la mia esperienza al Segretariato di Stato all’economia (seco).

Questo primo film ruota attorno alle misure protezioniste introdotte nel 2002 dagli Stati Uniti nel settore dell’acciaio. Un caso che ho vissuto direttamente, quando ero alla direzione del seco, e che ha avuto delle ripercussioni fino in Svizzera, in modo particolare per alcune Piccole medie imprese (PMI).

Ho voluto mostrare la complessità di questo tema inserendolo comunque in una dimensione più ampia, illustrando le conseguenze negative e positive della mondializzazione. Il mio prossimo film verterà sul Terzo mondo e i flussi migratori.

swissinfo: Anche una personalità molto illustre – l’ex vice presidente americano Al Gore – è passata da responsabilità di governo alla realizzazione di documentari. Il potere audiovisivo è dunque più forte di quello politico?

D.S.: Non è corretto, credo, affermare che il potere politico si stia indebolendo come tale. Ma a Berna o a Seattle (in occasione del vertice dell’OMC nel 1999) ho constatato che le persone non si davano la pena di approfondire gli argomenti.

Attraverso la realizzazione di un film – un mezzo molto più accessibile di un libro – ho dunque voluto mostrare che la mondializzazione non può essere ridotta ad una visione manichea, dal momento che contiene tanto degli elementi positivi, quanto negativi.

Il messaggio che cerco di veicolare porta sulla necessità di dare un volto umano a questo grande processo di trasformazione delle nostre società.

swissinfo: Quali sono, secondo lei, questi aspetti positivi e negativi?

D.S.: Tanto per cominciare occorre rendersi conto che il commercio mondiale contribuisce a creare ricchezza nel mondo. Ci sono tuttavia dei paesi che ne traggono maggior profitto rispetto a altri. E’ infatti difficile accedere ai mercati mondiali, giacché tale accesso comporta spesso misure dolorose come ristrutturazioni e licenziamenti.

A corto termine il commercio mondiale provoca spesso dei problemi. Ma a lungo termine crea ricchezza nel paese interessato.

Da un lato vediamo che la liberalizzazione crea degli impieghi e favorisce gli scambi. Un paese come la Svizzera, per esempio, può dunque importare prodotti decisamente a miglior mercato. Se fossero tassati, la musica cambierebbe.

Ma questa apertura crea anche dei problemi. In Svizzera colpisce in modo particolare il settore dell’agricoltura. Il nostro Paese è d’accordo di liberalizzare tutto, ad eccezione dell’agricoltura. Ma per i paesi emergenti, si tratta di un settore di base, il punto di partenza di un’economia di esportazione.

swissinfo: I paesi che desiderano sottrarre parte della loro economia alla concorrenza mondiale, non sono forse in crescita?

D.S.: Di fronte al rischio del ritorno del protezionismo, la Svizzera ed altri paesi occidentali devono essere solidali. Non si può avere tutto e volere tutto. E ciò che tento di spiegare nel mio film.

Gli Stati Uniti non hanno voluto ammodernare a loro industria siderurgica. E quando i problemi si sono presentati, hanno chiuso le frontiere, senza preoccuparsi e curarsi degli altri. Un’ attitudine così è semplicemente inammissibile.

Attraverso questo film mi piacerebbe fare vedere che, a lungo termine, per un paese è controproducente agire egoisticamente. Manifestando una certa solidarietà, si creano le basi per la fiducia. La qualcosa potrebbe rilanciare le discussioni all’interno dell’OMC.

Al momento, i paesi del Sud ritengono che i paesi ricchi vogliono tutto senza dare niente. Ragion per cui bloccano ogni possibile progresso nell’attuale ciclo di negoziati, ovvero il ciclo di Doha.

Intervista swissinfo, Frédéric Burnand
(traduzione e adattamento dal francese Françoise Gehring)

Venuto dall’economia privata, David Syz ha diretto il Segretariato di Stato all’economia (seco) dal 1999 al 2004. Torna nel settore privato e consacra la metà del suo tempo alla produzione di documentari a carattere economico.

A New York ha seguito una formazione nel settore della sceneggiatura, dopo di che si è lanciato nella realizzazione del suo primo film, “La guerra dell’acciaio”, viaggiando ai quattro angoli della terra, intervistando ministri e responsabili delle politiche commerciali.

Ha pure incontrato personalità critiche, come Susanne George o Joseph Stiglitz. Il finanziamento del film è stato interamente curato da lui.

Nel mese di gennaio dell’anno prossimo, il documentario sarà protagonista di una trasmissione televisiva sul canale svizzero tedesco. Ma a David Syz interessano soprattutto le università e le scuole, ovverosia i leader di domani.

L’importanza dell’acciaio è enorme, anche storicamente e per la nascita dell’ex Comunità economica europea. I suoi usi sono innumerevoli, come anche le varietà in cui viene prodotto: senza la disponibilità di acciaio in quantità e a basso costo, la rivoluzione industriale non sarebbe stata possibile.

Attualmente nel mondo si producono ogni anno circa 500 milioni di tonnellate di acciaio, successivamente lavorato tramite diversi processi di produzione industriale.

Oggi l’acciaio è quotato nelle maggiori Borse del mondo. Attualmente, la scalata di Mittal, il colosso siderurgico indiano, su Arcelor, ha creato il primo gruppo mondiale dell’acciaio (con una quota di mercato intorno al 10%).

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