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Debito pubblico: gli svizzeri campioni del risparmio in Europa

Mentre la zona euro sta lottando per contenere i debiti pubblici, la Svizzera moltiplica i piani finanziari per risparmiare fino all'ultimo centesimo. Keystone

La Svizzera figura tra i pochi paesi europei che rispettano la disciplina di bilancio adottata una ventina di anni fa dall’UE, ma poco applicata dai suoi membri. Il debito pubblico svizzero corrisponde appena al 33% del PIL, mentre la media dei Ventotto supera l’85%. Eppure quasi ogni anno il governo elvetico presenta un nuovo piano di tagli della spesa pubblica. Politica finanziaria oculata o mania di risparmi? 

“La Svizzera va verso la bancarotta”, preannunciava il settimanale Facts nel 1997, dopo una serie di disavanzi miliardari delle casse statali. La rivista è fallita alcuni anni dopo, mentre le finanze pubbliche elvetiche si portano tutt’oggi bene. Anzi benissimo. Assieme alla Norvegia, dove i proventi del petrolio alimentano il gettito fiscale, la Svizzera è stata addirittura l’unico paese europeo ad aver abbassato il debito pubblico dall’inizio dell’ultima grande crisi finanziaria ed economica, nel 2007. E, questo, senza nemmeno rinunciare alla realizzazione di costose infrastrutture, come la nuova galleria ferroviaria del San Gottardo – la più lunga del mondo – inaugurata il 1° giugno di quest’anno. 

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Rimasta al di fuori dell’UE, la Svizzera fa parte dei pochi paesi europei che soddisfano, sin dall’inizio, i “criteri di convergenza” del Trattato di Maastricht, con il quale sono state gettate le basi nel 1992 dell’unione economica e monetaria e della creazione dell’euro. I paesi candidati ad aderire alla moneta unica dovevano impegnarsi, in particolare, a contenere il debito pubblico al di sotto del 60% del Prodotto interno lordo (PIL).

Già al momento della loro adesione all’euro, alcuni Stati non rispettavano tale parametro: Grecia 107%, Italia 109%, Belgio 114%. Con la crisi finanziaria ed economica, diversi altri paesi europei sono stati costretti a incrementare pesantemente le uscite per sostenere il settore bancario e rilanciare la congiuntura. Oggi il debito pubblico delle principali economie della zona euro, come pure della Gran Bretagna, supera la soglia del 60%.

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Le finanze pubbliche svizzere hanno invece potuto approfittare in questi anni di un’inaspettata solidità economica, che ha permesso di mantenere un buon gettito fiscale. L’economia elvetica, che ha registrato una flessione solo nel 2009, è uscita rapidamente dalla crisi internazionale: i consumi hanno retto, le esportazioni non sono crollate, nonostante l’indebolimento della domanda sui mercati dell’UE, e il tasso di disoccupazione è rimasto tra il 3 – 4%.

La Banca nazionale svizzera ha inoltre svolto un ruolo importante, partecipando al salvataggio dell’UBS e contrastando per alcuni anni l’apprezzamento del franco. La Svizzera è stata pure favorita dal fatto che la quota delle spese dello Stato rispetto al PIL sono storicamente basse, rispetto ad altri paesi europei, gravati da un pesante apparato di amministrazioni ed enti pubblici. 

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Determinante per garantire il buon stato di salute delle casse pubbliche è stato però anche il “freno all’indebitamento”, un meccanismo introdotto nel 2003 dalla Confederazione per evitare squilibri strutturali delle finanze statali e impedire una crescita del debito, come avvenuto negli anni ’90. Questo meccanismo mira a riequilibrare uscite e entrate sull’arco di un ciclo congiunturale: negli anni di rallentamento dell’economia sono ammessi deficit limitati, mentre negli anni di alta congiuntura devono essere conseguite eccedenze. Modelli analoghi sono stati introdotti anche da molti Cantoni.

Il freno all’indebitamento ha permesso di ripristinare rapidamente l’equilibrio delle finanze pubbliche: il debito complessivo (amministrazioni pubbliche e sicurezza sociale) è così sceso dal 50,7% nel 2003 al 33,1% nel 2015. Nell’ultimo decennio, con una sola eccezione nel 2014, i conti della Confederazione hanno registrato sistematicamente utili miliardari. Un risultato praticamente unico a livello europeo. 

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Il risanamento finanziario è condiviso da tutte le forze politiche, dato che consente non solo di ridurre le uscite destinate al pagamento degli interessi sul debito, ma anche di rafforzare la resistenza della Svizzera di fronte a nuove crisi. Per alcuni partiti – e per diversi economisti – la politica di risparmi ha però ormai raggiunto degli eccessi: nell’ultimo decennio la Confederazione ha conseguito delle eccedenze anche in anni di rallentamento congiunturale. E, nonostante questi utili, ogni anno il governo presenta nuovi piani di tagli della spesa pubblica. Secondo la sinistra, le risorse finanziarie della Confederazione dovrebbero essere maggiormente impiegate per rafforzare lo Stato sociale e per sostenere l’economia e la creazione di posti di lavoro in tempi di bassa congiuntura. Per le forze di centro e di destra, l’economia non necessita di sostegni statali, ma di un ulteriore alleggerimento della fiscalità.

Nonostante il buon andamento delle finanze federali, la politica finanziaria figura così da anni tra i temi più combattuti in parlamento. È il caso anche quest’anno. Nel quadro della nuova riforma sull’imposizione delle imprese, la maggioranza di centro e destra ha approvato una serie di sgravi miliardari per le aziende. Questa riforma rappresenta un assalto alle casse statali agli occhi della sinistra, che intende lanciare un referendum. Nel contempo, il ministro delle finanze Ueli Maurer ha già annunciato ben tre piani di risparmio per i prossimi anni, che colpirebbero in particolare la previdenza sociale, la formazione e l’aiuto estero. Non verrebbero invece toccati la difesa nazionale, l’agricoltura e i trasporti stradali. Anche questi piani sono oggetto di una grande battaglia tra i partiti. 

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Come gli altri paesi europei, anche la Svizzera è chiamata ad affrontare ben presto due fattori che rischiano di gravare pesantemente sulla spesa pubblica: l’invecchiamento della popolazione e l’esplosione dei costi della salute. Nei prossimi 30 anni saranno necessari 150 miliardi di franchi per finanziare le spese legate all’evoluzione demografica, avverte il nuovo rapporto del Dipartimento federale delle finanze sulle Prospettive a lungo termine delle finanze pubbliche. Senza misure di risparmio o di aumento del gettito fiscale, il debito pubblico salirà al 59% del PIL entro il 2045.

Le riforme dell’assicurazione malattia e della previdenza sociale sono però in cantiere da quasi una ventina d’anni e finora i partiti non sono riusciti a raggiungere un compromesso. Una soluzione dovrà però essere trovata ben presto, poiché l’evoluzione demografica si prospetta come una bomba ad orologeria che minaccia di far esplodere l’equilibrio delle finanze pubbliche.

swissinfo.ch

Contattate l’autore via twitter: @ArmandoMombelliCollegamento esterno

La Svizzera risparmia troppo o rappresenta un modello per molti altri paesi europei?

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