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Le banche cercano un balsamo strategico per lenire le ferite

Travolta da scandali a ripetizione, l'UBS cerca di ricostruire la propria credibilità. Keystone

Con la multa record di 1,4 miliardi di franchi inflitta all'UBS per lo scandalo della manipolazione del Libor, cala il sipario su un altro annus horribilis per la principale banca svizzera. Dodici mesi che hanno dato parecchi grattacapi anche al suo rivale, il Credit Suisse.

Confrontate con un altro anno difficile, le due principali banche svizzere, l’UBS e il Credit Suisse, hanno scelto strategie diverse nel tentativo di limitare i rischi per l’economia svizzera e al contempo mantenere la propria competitività sul piano internazionale.

Mentre il Credit Suisse ha potuto permettersi di ridurre soltanto parte delle sue operazioni a rischio – pur mantenendole attive –, lo scandalo che ha coinvolto un suo trader a Londra (condannato in novembre a sette anni di carcere) e la massiccia frode sul Libor venuta alla luce in autunno hanno costretto l’UBS ad abbandonare molte attività di trading, lasciando a casa anche migliaia di dipendenti.

Negli ultimi quattro anni, l’UBS ha preso una cantonata dopo l’altra e la sua reputazione ne ha enormemente sofferto. Nel 2008 è stata travolta in pieno dalla crisi finanziaria ed è sopravvissuta grazie a un intervento del governo svizzero di diversi miliardi di franchi.

Da notare che l’UBS è stata la prima banca svizzera a ritrovarsi nel collimatore della giustizia americana. Nel 2009 l’istituto è stato condannato al pagamento di una multa di 780 milioni di dollari per aver aiutato decine di migliaia di contribuenti a frodare il fisco.

Poi è scoppiato lo scandalo Adoboli, l’ex trader dell’UBS ritenuto colpevole di aver provocato una perdita stimata a 2,3 miliardi di dollari, la più grande nella storia bancaria britannica. E infine l’accusa di aver manipolato il tasso interbancario Libor e la condanna a una multa di 1,4 miliardi di franchi da pagare alle autorità statunitensi, britanniche e svizzere.

Qualche rischio in meno?

In seguito a questa serie di capitomboli, nel mese di ottobre l’UBS ha annunciato la soppressione di 10’000 impieghi entro il 2015 e il ridimensionamento delle attività a rischio dell’Investment Banking.

L’UBS si è infatti trovata con le mani legate, messa sotto pressione dall’opinione pubblica, dal mondo politico, dagli azionisti e dalle autorità di regolazione. Il Credit Suisse invece ha avuto un più ampio margine di manovra e in ottobre ha presentato la sua nuova strategia senza però operare cambiamenti fondamentali.

Di fatto, contrariamente al suo rivale, il Credit Suisse è uscito praticamente indenne dalla serie di tempeste che lo hanno coinvolto, più o meno direttamente.

Fino a questa estate, la più grande critica nei confronti del Credit Suisse era di non aver saputo tirar profitto della sua posizione di vantaggio nei confronti dell’UBS. La situazione è cambiata nel mese di giugno, quando la Banca nazionale svizzera (BNS) ha  intimato ai due istituti bancari – Credit Suisse in primis – di aumentare i loro fondi propri per far fronte a un eventuale peggioramento della crisi dell’euro. “Rispetto alle norme di Basilea III – aveva rilevato il vice-presidente dell’istituto Jean-Pierre Danthine -, le due banche si situano al di sotto della media internazionale”.

Al termine del terzo trimestre, il Credit Suisse ha così portato da tre a quattro miliardi i tagli previsti entro il 2015. L’istituto bancario cercherà di ridurre i rischi legati a certe attività dell’Investment Banking, pur conservando tutte le divisioni di questo settore, anche quelle che utilizzano il capitale proprio della banca per le negoziazioni ad alto rischio. Sola concessione: la riorganizzazione della struttura interna e la separazione di queste operazioni a rischio dal resto delle attività.

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BNS più fiduciosa

Il corso delle azioni delle due banche sembra aver tranquillizzato la BNS. A inizio dicembre, il vicepresidente dell’istituto Jean-Pierre Danthine ha dichiarato che la situazione è finalmente migliorata, in particolare per il Credit Suisse.

«Le due banche prevedono di accrescere i capitali in grado di assorbire le perdite, in modo da limitare i rischi, e di mantenere un equilibrio del loro budget. Hanno anche garantito una politica di limitazione dei dividendi», ha spiegato Danthine. Allo stesso tempo, il vicepresidente dalla BNS ha però avvertito che, se la crisi dell’euro dovesse peggiorare, le due banche potrebbero essere confrontate con gravi perdite.

Dopo i rispettivi annunci delle due banche, il titolo dell’UBS ha preso il volo mentre quello del Credit Suisse ha perso terreno. Un segnale che suggerisce una certa sfiducia da parte degli azionisti.

La scelta del Credit Suisse di continuare a puntare sull’Investment Banking non stupisce gli analisti. Di fatto, la banca dipende fortemente da questo settore. Fa però dubitare il fatto che l’istituto voglia rimanere un attore di primo piano dell’Investment Banking, malgrado l’estrema volatilità di queste attività.

Una nuova strategia ancora poco chiara

Resta ancora da sapere in che modo l’UBS e il Credit Suisse faranno fronte alla concorrenza internazionale. Le cosiddette regolamentazioni “Swiss finish”, la cui entrata in vigore è prevista per il 1° gennaio 2013, forzeranno i due istituti a creare riserve di fondi propri che vanno ben oltre gli standard internazionali.

A prima vista questo potrebbe mettere i due istituti in una situazione di svantaggio. Le banche europee o americane devono però ancora finalizzare le proprie regolamentazioni nazionali. La Federazione bancaria europea ha chiesto di posticipare di un anno, all’inizio del 2014, l’entrata in vigore di Basilea III per permettere alle banche di prepararsi meglio. Quanto agli Stati Uniti, hanno annunciato un ritardo di sei mesi.

Malgrado le norme “Swiss finish” siano più severe, il fatto che le banche elvetiche sappiano esattamente ciò che ci si aspetta da loro potrebbe rivelarsi un vantaggio, secondo diversi osservatori. Ciò permetterebbe per lo meno all’UBS e al Credit Suisse di avere qualche certezza sul futuro e di potersi così organizzare meglio.

Nel 2010 le autorità finanziarie e le banche centrali hanno varato una serie di riforme per rafforzare il patrimonio degli istituti di credito ed evitare così crisi globali future.

Denominato Basilea 3, l’accordo prevede la creazione di una riserva di capitale proprio equivalente al 7% degli attivi a rischio. Finora questa riserva era solo del 3%.

Le autorità di regolazione svizzere hanno però deciso di andare oltre e hanno varato una serie di norme denominate “Swiss Finish”. Le banche come l’UBS e il Credit Suisse sono così chiamate a costituire una riserva pari al 19% dei suoi attivi a rischio entro il 2019.

Inoltre il 10% di queste riserve deve essere costituito da capitali senza rischio e ad alta liquidità, mentre il 9% può prendere la forma di obbligazioni CoCo (convertibili contingenti).

(Traduzione dall’inglese di Stefania Summermatter)

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