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Cervelli migratori

Chi esce da un'università o da un politecnico - nella foto quello di Zurigo - non cerca lavoro nelle zone di montagna Keystone Archive

Regioni di montagna addio: chi lascia il proprio cantone d’origine per studiare all’università raramente ritorna. Gravi le conseguenze economiche di questa fuga di cervelli.

Lo rivela uno studio del Gruppo svizzero per le regioni di montagna che ammonisce: non è un fenomeno da sottovalutare.

Prettigovia, nord dei Grigioni: l’83% delle persone che sono partite da questa valle per studiare all’università non ha fatto rientro nel cantone, si è creata una vita altrove, altrove lavora, consuma e paga le tasse.

Fuga di cervelli, migrazione di competenze, esodo di materia grigia: comunque lo si voglia chiamare questo fenomeno, che interessa praticamente tutti i cantoni non universitari, rappresenta un ostacolo allo sviluppo delle zone periferiche. Ogni anno qualcosa come 27 milioni di franchi investiti nella formazione vanno persi per il mancato rientro delle persone che di questa formazione hanno goduto.

Il problema non è certo nuovo. A livello mondiale si discute da anni delle gravi conseguenze dovute al «braindrain», la fuga di cervelli. Attraverso l’emigrazione, i paesi in via di sviluppo perdono buona parte della loro élite – studenti dotati, dottorandi, ricercatori – e si ritrovano così nell’impossibilità di sfruttare al meglio il loro potenziale di crescita.

Prendere le misure al fenomeno

In Svizzera il «braindrain» rappresenta forse l’ultima tappa di una storia che ha visto gli spostamenti dei Walser durante il Medioevo, l’emigrazione specializzata di inizio Ottocento (pasticceri, architetti, stuccatori, …) e l’emigrazione di massa verso l’America seguita alla grande crisi internazionale del 1874.

Ma se sul passato esistono ormai innumerevoli studi, per quanto riguarda la fuga di cervelli i dati sono ancora pochi e frammentari. Se ne è dovuto rendere conto molto in fretta il Gruppo svizzero per le regioni di montagna (SAB) che ha recentemente pubblicato uno studio sul tema.

«Volevamo quantificare il fenomeno della fuga di cervelli dalle regioni di montagna» racconta a swissinfo Thomas Egger, direttore del SAB, «per questo abbiamo cercato di ottenere dei dati dall’Ufficio federale di statistica. Ci siamo però resi conto che non portavano a molto». Insomma, mancano i censimenti sistematici e mancano gli studi approfonditi.

Ma qualcosa si sta muovendo. Lo studio del SAB è un primo passo che, così spera Egger, dovrebbe contribuire a sensibilizzare l’opinione pubblica alla problematica. Intanto il canton Vallese ha lanciato un programma di ricerca che si prefigge di portare alla luce i motivi che inducono circa il 70% degli studenti vallesani a non rientrare nel cantone d’origine dopo la laurea.

Fattura salata

Le conseguenze economiche della migrazione di persone altamente qualificate sono molto gravi. Secondo lo studio del SAB, la formazione universitaria costa ai cantoni che non posseggono un proprio ateneo tra i 9’500 e i 46’000 franchi l’anno per studente. A causa della fuga di cervelli, 27 milioni di “investimenti” nella formazione vanno persi.

A questi si aggiungono almeno altri 27 milioni dovuti alla perdita di entrate fiscali e ai mancati consumi. La fattura non comprende però l’ammontare delle borse di studio concesse agli studenti e nemmeno le spese sostenute per la loro formazione preuniversitaria.

«Questi dati dovrebbero spingere a riformare il sistema di perequazione finanziaria e a rivedere alcune ordinanze federali», afferma Thomas Egger. «Finora l’effettiva portata dei flussi finanziari legati alla fuga di cervelli è stata sottovalutata». Un messaggio al mondo politico, ma anche ai cantoni universitari che negli ultimi anni hanno tentato a più riprese di rivedere al rialzo i contributi che i cantoni non universitari sono tenuti a versare per i loro studenti.

Le ragioni dell’addio

Il sondaggio del SAB ha rivelato che se ne avesse la possibilità, ben l’80% dei fuoriusciti sarebbe pronto a ritornare nel cantone d’origine. Ma perché oggi questo non avviene? «La prima ragione è di natura strettamente economica», spiega Thomas Egger. «Spesso chi vuole tornare non lo può fare perché mancano i posti di lavoro che corrispondono alla sua qualifica».

«La seconda ragione riguarda i rapporti sociali, soprattutto quelli di natura amorosa, che si sono intessuti durante il periodo universitario». A molti non piace l’idea di ricominciare tutto da capo, soprattutto se il partner non è disposto a trasferirsi.

Creare nuove opportunità

Se sul secondo motivo è difficile intervenire, per quanto riguarda il primo qualcosa si può fare. «I cantoni devono impegnarsi per creare posti di lavoro interessanti», afferma il direttore del SAB. «Che la cosa non è impossibile lo dimostrano gli esempi positivi, come l’Istituto di fitofarmacologia di Olivone, in Ticino, o il centro di microtecnologie che è stato aperto nel canton Obwaldo».

Certo, in qualche modo è normale e comprensibile che le regioni discoste perdano della popolazione a favore di zone più sviluppate da un punto di vista economico, industriale e culturale. «Ma», fa notare Thomas Egger «bisogna domandarsi fino a che punto una cosa è “normale”. Non possiamo accettare che a livello di politica regionale e federale si dica: bene, nelle regioni di montagna sosteniamo l’agricoltura e il turismo e basta».

Chi vive in regioni discoste desidera uno sviluppo che vada oltre questo binomio. Lo stesso vale per chi dopo gli studi ha trovato lavoro lontano da casa. La disponibilità a tornare, anche se solo a determinate condizioni, è presente. E allora ben vengano iniziative come quella delle Ferrovie federali svizzere che hanno trasferito il loro Contact Center a Briga-Glis, in Vallese, convinte, a ragione, che non avrebbero fatto fatica a trovare del personale qualificato.

swissinfo, Doris Lucini

In media tre laureati su quattro provenienti da cantoni di montagna non rientrano nel cantone d’origine (75% per il canton Uri, 83% per la Prettigovia nei Grigioni, 21% nella migliore delle ipotesi per il Ticino)
27 milioni di franchi: la cifra investita annualmente dai cantoni di montagna nella formazione universitaria di persone che non torneranno
27 milioni: le perdite dovute al venir meno delle entrate fiscali e dei consumi

Il problema della fuga di cervelli – braindrain – interessa anche la Svizzera. Chi proviene da regioni discoste e porta a termine una formazione universitaria spesso cerca lavoro al di fuori del suo cantone d’origine.

Le conseguenze economiche per i cantoni interessati sono disastrose. Inoltre questo mancato rientro incide anche sulle possibilità di sviluppo delle regioni discoste.

I cantoni e la Confederazione dovrebbero fare di più per monitorare e contrastare questo fenomeno, rivedendo il sistema di perequazione finanziaria e creando posti di lavoro interessanti nelle regioni colpite.

L’80% dei fuoriusciti è infatti pronto a tornare nel luogo d’origine a patto di avere un lavoro interessante, uno stipendio adeguato e il consenso del proprio partner.

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