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“Il rischio esiste”

La Consigliera di Stato ticinese Marina Masoni Keystone

Sul momento delicato per la piazza finanziaria del Canton Ticino, l'opinione di Marina Masoni, consigliera di Stato a capo del Dipartimento cantonale delle finanze e dell'economia.

Marina Masoni, si parla di una possibile scomparsa di 1000-1500 posti di lavoro sulla piazza finanziaria di Lugano. Una cifra realistica?

Non vi sono elementi concreti per dirlo. È certo comunque che vi è il rischio di un ridimensionamento della base occupazionale.

Nella precedente crisi (1991-97) la piazza bancaria aveva perso oltre mille posti di lavoro. Dopo le ristrutturazioni, ha recuperato un ruolo strategico, che ha portato diverse banche confederate ed estere, prima assenti, ad aprire sedi in Ticino.

Questo rilancio ha consentito di creare circa mille nuovi impieghi. Oggi questo progresso è nuovamente a rischio.

Come giudica lo stato di salute della piazza finanziaria?

La situazione è effettivamente molto difficile, perché si sommano due fattori esterni che incidono negativamente: l’andamento dei mercati borsistici e, seppur con un impatto molto meno importante rispetto al crollo delle borse, gli effetti del decreto Tremonti, che ora sarà replicato, con probabile estensione alle piccole società.

Finora l’impatto sull’occupazione è stato contenuto, anche perché in molti casi le banche sembrano aver utilizzato i margini di manovra dati dalle normali partenze, evitando le sostituzioni.

Nel gennaio 2001 c’erano in Ticino 91 disoccupati nel ramo bancario; alla fine del 2001 erano 127; oggi (fine settembre 2002) sono 185.

Da quando vi è stata l’inversione di rotta, vi è stato quindi un aumento di un centinaio di disoccupati nel ramo bancario.

Il governo italiano intende riproporre una nuova versione di scudo fiscale. C’è da preoccuparsi?

Il varo di un secondo scudo fiscale è la conferma indiretta che il primo provvedimento ha dato risultati inferiori alle attese del Governo italiano.

Lo scarso successo del primo scudo fiscale è dovuto ad un dato molto significativo: il 40% dei capitali esteri regolarizzati dai cittadini italiani titolari non è stato riportato in Italia, ma rimane investito all’estero. Ciò ha ridotto di molto l’effetto economico del provvedimento, sul quale invece il ministro Tremonti puntava molto.

Per quanto riguarda la Svizzera, il primo scudo fiscale ha portato alla regolarizzazione di capitali italiani per un totale di 45,7 miliardi di franchi; di questa somma, solo 28,3 miliardi sono fisicamente stati riportati e quindi reinvestiti in Italia.

Gli altri 17,4 miliardi sono stati lasciati in Svizzera e quindi rimangono investiti e gestiti nel nostro Paese.

Quanto al secondo scudo fiscale, l’impatto sulla piazza finanziaria svizzera e su quella ticinese in particolare non dovrebbe essere superiore a quello del primo. La differenza è che interesserebbe anche le persone giuridiche, perlomeno le piccole società.

Resta da vedere se Bruxelles consentirà all’Italia di rinnovare la misura, sulla quale aveva già espresso inizialmente riserve. Il via libera era stato dato perché lo scudo fiscale era un provvedimento d’eccezione.

Quali sono, secondo lei, le principali sfide future dell’economia ticinese?

In primo luogo gli accordi bilaterali, che aprono maggiormente i mercati e portano quindi più concorrenza. Il tutto avviene in una fase di stagnazione economica, ciò che rende più difficile il cambiamento.

La competizione tra Stati e tra regioni è sempre più forte: lo dimostrano le decisioni prese dal Governo italiano, con lo scudo fiscale, ma anche le pressioni dell’UE sul segreto bancario svizzero.

Secondariamente l’accessibilità e la transitabilità del Ticino sono condizioni quadro essenziali, per l’industria, per il turismo, per l’agricoltura.

Il completamento della galleria autostradale del San Gottardo, l’AlpTransit fino al confine, i Piani regionali dei trasporti e l’aeroporto di Lugano-Agno sono necessario nell’ottica di una politica integrata dei trasporti.

Quanto alla piazza finanziaria, essa va sostenuta predisponendo condizioni quadro favorevoli (soprattutto fiscali), investendo nella formazione e nelle strutture della ricerca (Università, SUPSI), rafforzando il tessuto economico cantonale che fa capo ai servizi bancari.

Il rilancio deve basarsi sulla qualità dei servizi offerti e sulla loro diversificazione. Le banche hanno comunque le competenze professionali adeguate per operare in questa direzione.

Intervista a cura di Marzio Pescia, swissinfo

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