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Il segreto bancario fa discutere

Quanto andrà aperta la porta del segreto bancario? RDB Archiv

L'invio di dati bancari di clienti dell'UBS alle autorità fiscali degli Stati uniti ha rinfocolato in Svizzera il dibattito sul segreto bancario. La destra lo difende, la sinistra e il centro invitano a riflettere sulla necessità di abbandonare la distinzione tra frode ed evasione fiscale.

«Giù le mani dal segreto bancario!»: con questo slogan la Lega dei Ticinesi ha lanciato venerdì un progetto di iniziativa popolare (referendum costituzionale) che iscrive il principio del segreto bancario nella Costituzione federale (CF).

La norma sul segreto bancario dovrebbe essere aggiunta all’articolo 13 della CF, relativo alla protezione della sfera privata. Secondo il testo dell’iniziativa, nessuna informazione sui conti in banca dovrebbe poter essere trasmessa «a un’entità estera o a un’autorità federale non vincolata dal segreto bancario».

Nel testo si specifica tuttavia che il segreto bancario non serve a coprire attività criminali come «terrorismo, crimine organizzato, riciclaggio di denaro». La Svizzera continuerebbe a offrire assistenza giudiziaria quando la richiesta dall’estero riguarda reati punibili anche in Svizzera (in chiaro: quando non si tratta di semplice evasione fiscale).

La proposta della Lega, precisata domenica sul settimanale del movimento «Il Mattino della domenica», è sostenuta anche dalla sezione ticinese dell’Unione democratica di centro (UDC). A livello nazionale, il partito aveva elaborato già nel 2002 un’iniziativa parlamentare che andava nella stessa direzione. Una seconda iniziativa che chiede di iscrivere il segreto bancario nella Costituzione è stata inoltrata nell’ottobre del 2008 dal deputato UDC Hans Fehr.

Misure di ritorsione

L’UDC va anche oltre: in un comunicato pubblicato sabato, il partito evoca possibili misure di ritorsione nei confronti degli Stati uniti, tra cui il divieto della vendita in Svizzera di partecipazioni a fondi d’investimento statunitensi, il ritiro dell’oro della Banca nazionale svizzera custodito negli USA, il rifiuto di dare accoglienza ad ex detenuti di Guantanamo.

D’altro canto il partito nega che i recenti problemi siano dovuti al fatto che la Svizzera non riconosca come reato l’evasione fiscale. Le pressioni statunitensi che hanno condotto all’invio dei dati riguardavano presunti casi di frode fiscale. «Se il Consiglio federale avesse seguito la prassi normale, gli USA avrebbero comunque ottenuto le informazioni richieste», ha dichiarato lunedì all’agenzia stampa ATS il capo del gruppo parlamentare UDC Caspar Baader.

L’UDC punta piuttosto a costringere i grandi istituti finanziari a costituire società indipendenti in ogni paese in cui sono attivi. Tra le singole società non dovrebbe esserci obblighi di mutua assistenza. «Una UBS americana non sarebbe stata ricattabile negli Stati uniti», ha affermato Baader.

Riforme necessarie

L’opinione della destra, secondo cui non sono necessarie riforme del diritto penale in Svizzera, non è condivisa dal Partito popolare democratico. La distinzione tra frode ed evasione fiscale alla lunga «non sarà più sostenibile», ha dichiarato lunedì all’ATS il capogruppo del partito Urs Schwaller.

A suo avviso le recenti vicende hanno dimostrato che la pressione internazionale è diventata troppo forte. Il PPD chiede perciò la creazione di una task force che elabori una strategia per un futuro in cui la Svizzera non possa più distinguere tra frode e evasione fiscale. Il governo, le banche e gli esperti in materia fiscale dovrebbero ora riflettere «sulla direzione che la piazza finanziaria elvetica vuole prendere nei prossimi 5-10 anni», ha detto Schwaller.

La stessa rivendicazione è stata formulata anche dal Partito socialista svizzero (PS): «Specialisti politici indipendenti devono finalmente fornire una valutazione realistica della situazione», ha dichiarato la vicepresidente del partito Jacqueline Fehr. Il PS non mette però in discussione il segreto bancario in quanto tale: la protezione della sfera privata dei risparmiatori in Svizzera dovrebbe continuare ad essere garantita.

Il vero nodo della questione per i socialisti è l’evasione fiscale, come ha notato domenica anche il presidente del partito Christian Levrat in un’intervista al domenicale «SonntagsZeitung». Già nei giorni scorsi il gruppo socialista aveva chiesto che chi evade volontariamente il fisco debba sottostare al diritto penale così come chi si rende colpevole di frode. In questo modo l’assistenza amministrativa tra i paesi sarebbe possibile anche per l’evasione fiscale.

Anche per i Verdi, che analogamente all’UDC hanno chiesto un dibattito parlamentare urgente durante la prossima sessione delle camere federali, la distinzione tra frode ed evasione fiscale non è più sostenibile.

Nuovi accordi sulla fiscalità sul risparmio

Sia i socialisti sia i popolari democratici ritengono che, almeno in una fase intermedia, finché esisterà una differenza sul piano penale tra frode ed evasione, una soluzione potrebbe venire da nuovi accordi sulla fiscalità sul risparmio, come quello già stipulato con l’Unione europea. Christian Levrat ha tuttavia precisato che «a lungo andare la Svizzera dovrà aderire allo scambio automatico di informazioni, se non vuole trovarsi costantemente sotto pressione».

Gli accordi sulla fiscalità del risparmio sono uno strumento efficace anche secondo la capogruppo del Partito liberale radicale (PLR) Gabi Huber, perché garantiscono agli stati le entrare fiscali sul capitale depositato in Svizzera dai loro cittadini.

Secondo Huber è però chiaro che al centro delle rivendicazioni estere nei confronti delle banche elvetiche c’è una lotta di potere fra le diverse piazze finanziarie.
Per il PLR gli accordi sulla fiscalità del risparmio non sarebbero dunque una soluzione transitoria, ma al contrario una maniera pragmatica per evitare un ammorbidimento della distinzione tra frode ed evasione fiscale.

swissinfo e agenzie

Se un senso elevato della discrezione ha contraddistinto le banche svizzere (in particolare quelle ginevrine) fin dal XVI secolo, il segreto bancario è stato ancorato nella legislazione elvetica solo nel 1934.

L’articolo 47 della legge federale sulle banche, adottato all’epoca senza particolari discussioni, fissa le sanzioni penali per chi viola il segreto bancario. L’iscrizione del segreto bancario nella legge faceva seguito a due decenni di forte espansione della piazza finanziaria svizzera.

La Svizzera era uscita dalle Prima guerra mondiale con una delle più forti monete al mondo, un basso livello di imposizione fiscale e un sistema politico molto stabile. Insieme al segreto bancario, questi fattori permisero alla piazza finanziaria svizzera di divenire uno dei rifugi privilegiati dai capitali internazionali.

Fra gli artefici principali del segreto bancario ci fu il ministro delle finanze cattolico-conservatore Jean-Marie Musy, che già nel 1920 difese il principio di un segreto bancario assoluto, affermando che la Svizzera non voleva assumere il ruolo di «poliziotto» di fronte alla fuga di capitali da altri paesi, in particolare dalla Germania.

Anche l’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (OCSE) esamina l’estensione della lotta contro i paradisi fiscali. Dopo che la maggior parte dei paesi messi sotto accusa nel 2000 hanno assicurato maggiore trasparenza, ora è il momento di analizzare come le promesse possano essere controllate, ha rilevato lunedì un portavoce dell’OCSE.

È in discussione anche un allargamento della «lista nera» e un inasprimento dei criteri, ha aggiunto. In un incontro svoltosi domenica a Berlino tra i capi di stato e di governo di importanti paesi dell’Unione europea, alcuni partecipanti si sono detti a favore di sanzioni contro i paradisi fiscali che non cooperano. Entro il G20 che si terrà il 2 aprile a Londra sarà steso un elenco di tali stati.

Nella lista nera attuale dell’OCSE figurano fra l’altro il Liechtenstein, Andorra e Principato di Monaco. L’elenco dovrebbe essere riveduto a metà anno. Alcuni membri dell’OCSE, condotti da Germania e Francia, intendono esercitare pressioni sul segreto bancario. Nella riunione dell’ottobre scorso 17 Stati avevano chiesto di integrare la Svizzera nell’elenco a causa della concorrenza sleale e della mancanza di cooperazione in questioni fiscali.

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