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Stop alla consegna di dati bancari al fisco americano

I giudici federali hanno stabilito che la trasmissione di dati dei clienti del Credit Suisse non possibile per la sola evasione fiscale. Keystone

Il Tribunale amministrativo federale ha dato un nuovo colpo di freno alla consegna di dati bancari agli Stati Uniti. I giudici hanno accolto mercoledì il ricorso di un cliente del Credit Suisse, che si opponeva all'assistenza amministrativa accordata dalla Svizzera al fisco americano.

Washington aveva chiesto all’Amministrazione federale delle contribuzioni (AFC) i dati bancari di 650 di clienti del Credit Suisse sospettati di aver frodato il fisco, sulla base della Convenzione di doppia imposizione, sottoscritta dai due paesi nel 1996.

Nella domanda di assistenza amministrativa presentata dall’autorità fiscale americana (IRS) lo scorso anno non figurava alcun nome, ma soltanto una lista di criteri sulla base dei quali lo stesso Credit Suisse avrebbe dovuto identificare i clienti sospetti. E così è stato.

A novembre l’AFC aveva ricevuto dalla banca i dati dei clienti e, dopo averne analizzato il contenuto, aveva deciso a inizio gennaio di dare via libera all’assistenza amministrativa.

Accogliendo il ricorso di un contribuente, il Tribunale amministrativo federale (TAF) ha però giudicato troppo vaghi i criteri presi in considerazione dalle autorità americane e ha messo un freno al trasferimento di informazioni. Una trentina di casi sono ancora pendenti.

Il Credit Suise, così come l’Associazione svizzera dei banchieri (ASB) e l’Associazione dei banchieri privati svizzeri (ABPS), non ha voluto commentare la notizia.

Nessun trasferimento di dati in caso di evasione

Secondo il TAF, non dichiarare il proprio conto al fisco non costituisce una frode. I giudici ritengono che il cliente in questione si sia macchiato unicamente del reato di evasione e secondo la legge elvetica (che fa una distinzione tra frode ed evasione fiscale), il segreto bancario non può dunque essere revocato.

«La Svizzera resta uno Stato di diritto e la semplice sottrazione d’imposta da parte di cittadini americani non può essere oggetto di assistenza amministrativa, nemmeno quando in gioco vi sono somme importanti», ha commentato ai microfoni della radio svizzero-romanda RTS Henry Peter, professore di diritto economico all’università di Ginevra.

Dello stesso avviso anche Paolo Bernasconi, professore di diritto bancario all’università di San Gallo. Questa sentenza dimostra come «il TAF si sia specializzato in materia e continui ad agire in modo indipendente», ha dichiarato alla radio svizzero-italiana RSI. «Malgrado la pressione delle autorità americane e in parte anche di quelle svizzere, il tribunale giudica esclusivamente in base alla legge elvetica».

Svizzera sotto pressione

Secondo il professor Henry Peter, «la vertenza fiscale tra la Svizzera e gli Stati non si risolverà tanto presto». I due paesi stanno negoziando un nuovo accordo, ma la sentenza del TAF potrebbe portare a un ulteriore inasprimento delle posizioni.

«Bisogna vedere come reagirà il fisco americano, commenta dal canto suo Paolo Bernasconi. Il tribunale si è espresso sulla base della convenzione del 1996 siglata con gli Stati Uniti. Nel frattempo però le Camere federali hanno ratificato l’estensione della Convenzione di doppia imposizione», autorizzando anche l’inoltro di domande collettive di assistenza amministrativa, ma soltanto nel caso degli USA. L’accordo deve però ancora essere approvato dalle autorità americane. 

Già nel 2010, i giudici federali avevano bloccato la trasmissione di dati di clienti americani dell’UBS – la prima banca sotto tiro – per mancanza di una base giuridica. L’autorizzazione era poi stata accordata dopo che il parlamento svizzero aveva dato il via libera, nel giugno del 2011, a un accordo con Washington sui conti dell’UBS.

Dopo il caso dell’UBS, lo scorso anno era stato il Credit Suisse a finire nel mirino del fisco americano seguito da una decina di altre banche elvetiche. Nel gennaio del 2012, la banca Wegelin è invece stata denunciata negli Stati Uniti per aver aiutato decine di persone a evadere il fisco. Per evitare il collasso il più vecchio istituto bancario privato elvetico si è così visto costretto a cedere parte delle proprie attività al gruppo Raiffeisen.

«Una menzogna collettiva»

Messo sotto pressione dagli Stati Uniti e da diversi paesi europei, il segreto bancario svizzero si sta lentamente sgretolando e il suo destino è più che mai incerto.

Secondo l’editorialista di Tages Anzeiger e Bund, per uscire dall’impasse i rappresentanti politici della destra dovrebbero riconoscere che quel «segreto bancario che ha portato all’impunità degli evasori stranieri è stato difeso fin troppo a lungo».

«Oggi nessuna banca è più disposta a lottare per difendere i suoi clienti, col rischio di incappare in una denuncia negli Stati Uniti. Questa menzogna collettiva si spinge così lontano, che ancora oggi i politici sostengono che si possa risolvere la controversia fiscale con la legge vigente», scrivono i quotidiani.

«È invece vero il contrario. Ci sarà bisogno di una clausola d’urgenza o di un nuovo accordo affinché il segreto bancario venga sotterrato. Proprio come è avvenuto nel caso dell’UBS. L’unico interrogativo è sapere quando la piazza finanziaria e il mondo politico se ne renderanno conto».

Introdotto negli anni ’30 in Svizzera, il segreto bancario corrisponde ad un obbligo di discrezione a cui sottostanno le banche per garantire la protezione dei dati dei loro clienti.
 
Anche in Svizzera il segreto bancario può essere revocato in caso di frode fiscale – ossia il tentativo di ingannare il fisco falsificando ad esempio dei documenti – o crimini gravi commessi dal detentore di un conto.
 
Finora la Confederazione accordava assistenza amministrativa agli altri paesi soltanto in caso di frode fiscale. Le autorità elvetiche non fornivano invece informazioni in caso di sottrazione fiscale – ossia l’omissione, intenzionale o meno, di dichiarare dei redditi al fisco.
 
Nel 2009, il governo elvetico ha dovuto, per la prima volta, fornire i dati di migliaia di clienti dell’UBS agli Stati uniti. Le autorità americane minacciavano pesanti sanzioni contro la grande banca svizzera, accusata di aver aiutato decine di migliaia di clienti ad evadere il fisco – frode e sottrazione.
 
In seguito alle pressioni internazionali, la Svizzera ha firmato negli ultimi anni una trentina di convenzioni di doppia imposizione fiscale, in cui l’assistenza amministrativa viene estesa anche ai casi di sottrazione fiscale, secondo gli standard dell’OCSE.
 
Nel gennaio scorso, Washington ha annunciato che almeno 11 banche svizzere si trovano sotto inchiesta per aver aiutato numerosi clienti ad evadere il fisco americano. L’amministrazione americana esige ora da Berna i dati di decine di migliaia di clienti delle banche svizzere negli Stati uniti.

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